di Fabio Morabito
Ore 16.32, due gennaio scorso. Un post sulla pagina Facebook di Matteo Salvini avverte: “Alle Europee del 26 maggio avremo un’occasione che capita una volta ogni cento anni. Siete pronti?”.
Una sfida dai toni epocali. Lanciata con quel linguaggio coinvolgente che è il segreto vincente della comunicazione del leader della Lega, che oggi è il politico italiano più popolare anche all’estero. Solo pochissimi anni fa, era Presidente del Consiglio un altro Matteo popolarissimo tra gli italiani, che proprio alle ultime Europee portò il suo partito, il Pd, a superare il 40% dei consensi. I due Mattei hanno in comune che da ragazzi parteciparono ai quiz televisivi di Mediaset. Ma se Renzi si dichiara amico di Barack Obama, Salvini fa la parte dell’amico del bar. E questo, ora, è quello che sta più o meno consapevolmente piacendo alla gente.
Quanto durerà? Le elezioni sono a maggio, ma Salvini ha l’aria di aver già lanciato lo sprint. E non adesso, da tempo. All’aeroporto di Ciampino il 14 gennaio si è presentato, con una maglia della polizia, ad attendere l’arrivo di Cesare Battisti, il criminale estradato dalla Bolivia. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede gli era accanto, in giacca e cravatta, e sembrava l’uomo dei Cinque Stelle con l’ingrato compito di marcare la star, perché non si prendesse tutti i meriti. Già, perché sembrava – ascoltando il trionfalismo leghista – che dopo tanti anni il latitante Battisti finiva in carcere per merito del nuovo inquilino del Viminale. Salvini, appunto. Invece il dettaglio decisivo era il cambio del presidente in Brasile: Jair Bolsonaro ha tolto a Battisti lo status pretestuoso di perseguitato politico, che gli aveva permesso, tra Francia e Sud America, di scontare solo 22 giorni in prigione dopo l’evasione di 38 anni fa dal carcere di Frosinone.
Salvini è tracimante, e perfino i sondaggi comparati europei lo danno trionfante per maggio. Addirittura il suo partito, la Lega, è accreditato di diventare – come numero di seggi – il primo partito in Europa. Il che fa colore ma non conta nulla. Perché servono alleanze per pesare. E con questo obbiettivo Salvini è andato il 9 gennaio scorso a fare visita al leader polacco di Diritto e Giustizia, il conservatore Jaroslaw Kaczynski, e al ministro dell’Interno (il suo omologo) Joachim Brudzinski. Ma il viaggio a Varsavia ha solo seminato per una futura intesa ancora da trovare. Un’alleanza tra i cosiddetti sovranisti può avere l’orizzonte di un gruppo parlamentare che nasca dalla fusione da quello di Europa delle Nazioni e della libertà (dove la Lega si è apparentata con la destra francese di Marine Le Pen) e quello dei Conservatori e Riformisti.
Tutto si muove nel senso di modificare gli indirizzi della Commissione europea. Ma Salvini, con realismo, in occasione degli incontri di Varsavia del 9 gennaio scorso, ha parlato dell’opportunità di un “contratto di governo” in Europa, sulla falsariga di quello firmato a Roma con i Cinque Stelle. “Abbiamo proposto un programma comune su sviluppo, sicurezza, famiglia, radici cristiane dell’Europa” ha spiegato Salvini, sapendo bene quanto questo ultimo punto sia nel cuore di Kaczynski. Ma per il resto le differenze sono forti, a cominciare dalla sbandierata simpatia del leader leghista con il leader russo Vladimir Putin, che negli ex Paesi del Patto di Varsavia non è – usando un eufemismo – troppo ben visto.
“Chissà che all’asse franco-tedesco non si sostituisca uno italo-polacco” ha commentato ancora Salvini. Ma è difficile credere che questo sia il suo pensiero e non piuttosto una semplice battuta. Considerando che con Varsavia sono già troppe le differenze, i conti veri in Europa Roma può farli a Berlino o Parigi, al massimo a Madrid, ora che Londra si è fatta da parte. A meno che Salvini, ai quali anche l’ungherese Viktor Orban riconosce statura da leader, non riesca ad assemblare tutti i cocci dell’Europa frammentata che attacca Bruxelles dalle trincee di interessi contrapposti. Una sfida che per ora lo vede all’apice dei consensi in Italia (la Lega nei sondaggi tocca il 34%, il doppio del bottino elettorale del marzo scorso).
Nella corsa a Bruxelles il Movimento Cinque Stelle si prepara invece a un brusco ridimensionamento: per ora non si parla di un’alleanza con la Lega nello stesso gruppo parlamentare, anche se è possibile. Ma lo volontà sembra quella di recuperare le differenze. Mentre il Pd non sa ancora se correre con nome e simboli suoi oppure in un “cartello” che possa ritrovare simpatie e consensi perduti. Salvini ha lanciato uno sprint, un lungo sprint fino a maggio, tutto calibrato su una sovraesposizione esagerata. Che per ora funziona, ma che potrebbe stancare. Vuole fare il mattatore anche in Europa. Per un’occasione che – come dice lui – capita una volta ogni cento anni.