di Gianfranco Grieco
Di schiaffi e di carezze l’Italia ne riceve e ne ha già ricevute tante dell’Europa “amica”. In verità più schiaffi che carezze. E’ solo di qualche giorno fa l’ultimo schiaffo di Juncker all’Italia: ”Dopo il voto ci sarà un governo non operativo!”. E’ stata l’ultima uscita fuori posto del presidente della Commissione Ue. Poi ha frenato, ma le parole hanno un senso e chi occupa posti di alta responsabilità farebbe bene a misurare le parole prima di parlare. Alle parole irresponsabili di Juncker seguivano quelle di Gentiloni e Mattarella. Il primo, tranquillo, rispondeva che l’Italia non farà “nessun salto nel buio”. Il secondo sconcertato, e non poco, vista la delicatezza del momento politico italiano. Domenica prossima, 4 marzo, il popolo va alle urne.
Dietro l’affondo di Bruxelles – dicono alcuni- si nascondono i timori sulla nostra capacità di ridurre il debito. Una eventuale grande coalizione italiana- sostengono- non viene ritenuta capace di agire e di operare come quella tedesca.
Mettiamo da parte i soliti giudizi ed anche i soliti pregiudizi che vengono dall’oltralpe e da Bruxelles in particolare. Certo che dopo quel “grido” di Juncker Piazza affari è andata giù. Ma i mercati – sostengono in tanti- non temono il voto e lo spread è al riparo dagli choc. Non ci risulta che il presidente della Commissione Ue abbia parlato lo scorso anno prima delle elezioni politiche in Francia e nella Repubblica Democratica Tedesca. E allora? Chi interviene dall’esterno sulla politica interna di un Paese Ue, dovrebbe usare più il positivo che il negativo; più l’esortativo, più parole augurali, che un linguaggio che si trasforma in un atto di ostilità che alimenta gli euroscettici, che non mancano anche nel nostro Paese che ha fatto e continua a fare dell’Europa il punto più qualificante della sua politica estera, soprattutto per quanto riguarda la politica migratoria.
Dopo l’ “indietro tutta” di Juncker, Macron e la Merkel non hanno mancato di dare il loro sostengo al presidente del consiglio italiano. Ma, quando il vaso si è rotto, è difficile mettere insieme il resto dei cocci.
Messa da parte questa ultima infelice uscita di un autorevole personaggio della politica europea, resta il fatto che il tema Europa è dal centro, da Bruxelles e da Strasburgo che devono avere idee e proposte capaci di vincere il canto delle sirene del populismo. In molti Paesi dell’est cresce l’antisemitismo; si continuano muri e non ponti; cresce l’arcipelago dei poveri.
Quando il 6 maggio 2016 i capi dell’Europa assegnavano in Vaticano a Papa Francesco il Premio Carlo Magno, Bergoglio consegnava loro tre “capacità”: integrare, dialogare, generare.
Capacità di integrare – diceva -: “In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in ‘colonizzazioni ideologiche’; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure”.
Capacità di dialogo: ”Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci – diceva – questa è : dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro».
Capacità di generare: “ Tutti, dal più piccolo al più grande- ribadiva Bergoglio- sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale. In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno”.
Alla vigilia delle elezioni politiche in Italia, ritorna di scottante attualità questa proposta, che da europea dovrebbe diventare italiana. Il Paese ha urgente bisogno di percorre nuove strade per meglio dialogare, integrare e generare nuove idee e nuove proposte che diventino programmi operativi capaci di dare un volto nuovo ad una società plurale, in continuo affanno.