Come continuare a comandare a Bruxelles
La cancelliera tedesca muove le sue pedine
di Fabio Morabito
C’è un solo statista nell’Europa di oggi, ed è una donna. Si chiama Angela Dorothea Merkel, è la cancelliera tedesca. Ha 64 anni, ne avrà quasi 67 nel 2021 quando sono in programma le elezioni federali in Germania. E ha già annunciato l’intenzione di lasciare per quell’anno. Ma non perché sia l’età della pensione. A logorarla sono semmai i tanti anni di potere. Il suo partito, l’Unione dei cristiano-democratici, a ogni convocazione elettorale perde consensi. Oltre l’otto per cento alle federali del 2017 (in Germania il voto per il Parlamento è ogni quattro anni), ed è stato più faticoso del solito arrivare alla “Grande coalizione” con il secondo partito, i socialdemocratici. Un ridimensionamento che ha continuato a colpire la Cdu anche nel voto locale. I tedeschi sarebbero stanchi di lei, secondo gli osservatori politici in Germania. Angela Merkel è cancelliera da 14 anni. Da addirittura diciotto era alla guida del partito, come presidente. Questa carica l’ha appena lasciata il 7 dicembre scorso al congresso Cdu che si è tenuto ad Amburgo. E come tutti i grandi politici non ha scelto per la sua successione un mediocre che non le possa fare ombra, ma una personalità in grado di proseguire, senza sembrarne una brutta copia, il percorso indicato dalla leader.
Ha proprio scelto Angela chi ha preso il suo posto alla guida del partito. Perché dei tre candidati in lizza ha vinto proprio la preferita della Cancelliera. La preferita, perché si tratta di un’altra donna. Si chiama Annegret Kramp-Karrenbauer, diventerà per forza Akk, perché il nome troppo lungo non entra nei titoli dei giornali. Non è giovane, ha 56 anni. Sarà leale con Angela, ma non sarà come Angela perché ha una sua personalità chiara e diversa. Rispetto alla grande mediatrice, alla signora elegante e dalle tante giacche colorate che, secondo i suoi avversari nel continente è la padrona d’Europa, quella che dà le carte e decide, è apparentemente più passionale. Ha vinto ad Amburgo con un discorso emotivo, forte. Proprio “forza” è stato uno delle parole ricorrenti nel suo richiamo all’orgoglio di partito. Un impronta più vicina ai grandi che hanno preceduto il potere-Merkel in Germania. Mentre quello che rappresenta l’attuale Cancelliera è la grandezza del basso profilo apparente, la moderazione come arma vincente.
Angela Merkel, secondo alcuni osservatori, avrebbe perso terreno sulla questione spinosa dovunque, non solo in Italia dei migranti. Tre anni fa le sua scelta sull’accoglienza, la dichiarazione sulle porte aperte a quasi un milione di richiedenti asilo, se hanno rafforzato la sua candidatura a premio Nobel per la Pace, hanno risvegliato nazionalismi e paure. “E’ ora di aprire un nuovo capitolo” ha detto la Cancelliera dopo l’ultima sconfitta nelle elezioni locali in Assia, dove la Cdu è esce al 27%, suo minimo storico. Annegret Kramp-Karrenbauer, ad esempio, sui migranti saprà avere posizioni più popolari.
Non solo nazionalismi e paure, però. Perché in Assia non ha vinto soltanto l’Alternativa per la Germania, il partito dell’estrema destra passato dal 4 al 13%, ma anche la sinistra ambientalista. I Verdi, infatti, hanno più che raddoppiato i voti sfiorando il venti per cento. Un risultato che premia il nuovo come peraltro avviene nei grandi Paesi d’Europa, dove i partiti tradizionali sono in crisi.
Angela Merkel è consapevole che il modello “Grande coalizione” è alle corde. Serve un rinnovamento, e intanto lei lo ha voluto fare alla guida del partito. Ma la Cancelliera non si ferma qui. Sta cercando di muovere le sue pedine anche in Europa, per arrivare preparata alle decisioni che incideranno sui posti di potere nell’Unione. La Germania potrebbe infatti rivendicare, dopo il voto di maggio, la guida della Commissione. La scelta che sta arrivando a scadenza, quella di Jean-Claude Juncker, era pienamente in stile-Merkel. Juncker è un politico di un Paese non solo minore, ma per le sue dimensioni insignificante nella geografia europea (il Lussemburgo). Ora Berlino ha in mano due assi da giocarsi in alternativa. La guida della Banca centrale europea (ci sarà da sostituire Mario Draghi) oppure la guida della Commissione europea. Per l’Italia, probabilmente, sarà meglio che la Germania scelga quest’ultima. Il nostro debito pubblico esagerato ha bisogno della benevolenza della Bce, che Draghi ha garantito sia pure con decisioni inattaccabili sul piano degli interessi europei.
Il candidato di Angela per guidare la Commissione è Manfred Weber, presidente del gruppo dei Popolari nel Parlamento europeo. Weber è del partito cristiano-sociale, costola della Cdu a Monaco di Baviera. Quindi, di fatto, dello stesso partito di centrodestra. Non la pensa come Angela sui migranti, vorrebbe una politica più rigida. Ma anche in questo la Merkel mostra il suo realismo e capacità di scegliere una mediazione, mettendo in conto anche una svolta a destra nei risultati complessivi delle prossime Europee. E quindi, previdente, pensa a una via di mezzo che corregge, e non stravolge, la traiettoria. Se non ci ripenserà, come è possibile ma appare difficile in questo momento, Angela nel 2021 non si presenterà alle elezioni tedesche neanche come semplice candidata al Parlamento. Ma avrà preparato la sua successione con la stessa abilità e apparente basso profilo che oggi la rende l’unica vera statista europea. Che poi la sua politica sui migranti, con la quale ha spinto su valori ideali più che su scelte opportunistiche, è stato un errore come molti sostengono, è ancora da vedere. La Germania, il Paese dell’Olocausto, ha scelto negli ultimi anni con più fermezza di tutti la forza della pace. Ed è difficile non riconoscere questo merito alla Cancelliera.