Roma e Bruxelles, il costo della pace

Nove miliardi di tagli. Così l’accordo si è chiuso (per ora)

di Antonella Blanc

E’ una pace armata quella tra Commissione europea e Palazzo Chigi sulla manovra economica dell’Italia. Roma ha preso la decisione più saggia, quella di evitare la procedura d’infrazione, che ora Bruxelles ha accantonato dopo gli ultimi sforzi del premier Giuseppe Conte, ma con il gesto di chi rimette una pistola nella fondina, non di chi toglie il colpo in canna. Il faticoso accordo è stato raggiunto tagliando oltre 9 miliardi dalla spesa prevista nella manovra, con una correzione del maggior deficit previsto rispetto al Pil (prodotto interno lordo) dal 2,4% al 2,04%. Questo zero che si intromette tra 2 e 4 ha suscitato molte ironie, come se Roma spostando i decimali avesse voluto far credere di aver mantenuto il punto. Piuttosto, c’è da chiedersi se i tecnici che hanno messo a punto il collage di misure per ridurre i costi possano prevedere fino al centesimo la spesa che sarà.

Quello che conta, però, è che un “accordo tecnico” sia stato raggiunto, evitando altro stress ai mercati, altro spread incontrollabile. Meno consolante è come questo obbiettivo sia stato raggiunto: aumentando le tasse, con tagli alle pensioni in essere sopra i 1.520 euro lordi mensili (sotto forma di mancata indicizzazione al costo della vita) che andranno a finanziare le pensioni anticipate che, sia pure al rallentatore, saranno concesse alle cosiddette “quote cento” (somma dell’età del lavoratore e degli anni di contribuzione). Luigi Di Maio, capo politico del Cinque stelle oltre che vicepremier e ministro del Lavoro, si è impuntato a far partire nei tempi previsti il cosiddetto reddito di cittadinanza, che richiede però un costoso adeguamento dei centri d’impiego. Altri 900 milioni verranno dalle dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato. Oltre tre miliardi saranno raccolti dal taglio degli investimenti pubblici (il che vuol dire anche meno sviluppo). Viene solo rinviato e reso più probabile un aumento dell’Iva che rischia, tra due anni, di essere molto pesante: dal 22 al 26,5% per la fascia “alta”, dal 10 al 13 per l’altra.

Insomma, panorama nero. Nerissimo. Il governo finge di mantenere le promesse (la flat tax riguarderà solo una parte delle partite Iva), il reddito di cittadinanza sembra sempre di più una bandiera di principio. In questo quadro difficile, la volontà di Conte di raggiungere un accordo è stata la scelta più saggia. Viene attribuito un ruolo anche al Colle, ma al di là delle veline diffuse dal Quirinale, è fuori discussione che il governo si divida tra urlatori (i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio) e trattativisti ad oltranza (il primo ministro Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria). La decisione finale è quella che Conte ha cercato, pur blandendo i desideri dei suoi “azionisti di riferimento”, Cinque Stelle e Lega.

Proprio il giorno del via libera della Commissione, il 20 dicembre scorso, Conte è stato al fianco del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dei funerali a Trento di Antonio Megalizzi, il giornalista italiano (ma il tesserino dell’Ordine gli è stato riconosciuto alla memoria) morto in ospedale dopo il colpo sparatogli alla testa nella strage al mercatino di Natale di Strasburgo. Se Mattarella si sarà prodigato in raccomandazioni, Conte difficilmente ha avuto bisogno di questo per decidere di limare con tanti interventi diversi l’eccesso di deficit programmato.

Ora politici ed economisti traggono le loro conclusioni. Roma si è sottomessa a Bruxelles? Se così è, però, vuol dire che questo non è un governo che cercava lo scontro. Considerando poi che uno scontro sarebbe stato una iattura rispetto a mercati e spread, ma non una decisione così peregrina rispetto alla procedura d’infrazione, che rischiava d’incagliarsi per mancanza di precedenti e regole certe. Quindi quella di Conte è la scelta della moderazione, con vantaggi comuni: Bruxelles stessa non aveva nessuna voglia di aprire un altro fronte, oltre a quello della Brexit, e preferisce un’intesa quando con la Francia, per la protesta dei gilet viaggi, si è preferito dare subito il via libera a uno sforamento fino al 3,5%. Naturalmente se l’aumento del Pil dovesse smuovere l’economia, producendo risorse, lo scenario cambierebbe improvvisamente in meglio. Ma nel frattempo c’è l’attesa e Roma sarà sorvegliata speciale dalla Commissione europea

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