Chi entra in Italia entra in Europa. Lo ha detto il primo ministro Conte a Bruxelles, ma il governo italiano non sembra battere i pugni sul tavolo perché venga approvata la riforma del Regolamento di Dublino, anzi. Eppure questa riforma, che ha molti limiti ma stabilisce finalmente un principio di condivisione, alleggerirebbe l’Italia dai vincoli di Paese d’ingresso dei migranti che da noi sbarcano e richiedono asilo. Elly Schlein, giovane deputata italiana (ha 33 anni) della sinistra di “Possibile”, eletta al Parlamento europeo, in un’intervista pubblicata sul blog di Corrado Giustiniani ospitato dall’Espresso online, ripropone il tema e chiede che non venga relegata in un cassetto.
Schlein parla di “norme assurde e ingiuste che impongono al Paese dove i migranti approdano di farsi carico di tutte le domande di asilo e di protezione internazionale, e che penalizzano il nostro Paese e la Grecia”. E spiega: “E’ dal 16 novembre del 2017 che il Parlamento europeo ne ha approvato la riforma, migliorando nettamente il testo ricevuto dalla Commissione europea. E lo ha fatto, per giunta, con una maggioranza dei due terzi: 390 sì, 175 no e 44 astenuti, per l’esattezza. Uno schieramento massiccio, che andava dai socialdemocratici ai verdi, ai popolari, ai liberali. L’esame delle domande, con la riforma, non avverrebbe più nel primo Paese d’ingresso: i richiedenti asilo andrebbero obbligatoriamente distribuiti in tutti i Paesi dell’Unione, proporzionalmente alla popolazione, al Pil, allo sviluppo economico, e facendo pesare anche i “legami significativi”, per esempio familiari, che i richiedenti hanno con uno specifico Paese”. Elly Schlein usa il condizionale e il perché lo spiega così a Corrado Giustiniani: “Il procedimento legislativo richiede che la riforma passi poi dal Parlamento al vaglio del Consiglio dell’Unione europea, dove siedono i governi, che nei quattordici mesi dal varo si sono ben guardati dal ratificarla, anzi l’hanno boicottata. Meglio esternalizzare i confini dell’Europa, meglio che la gente muoia in mare o sia ricacciata nei campi di concentramento libici, meglio che le navi dell’Ong non siano più testimoni di questo scempio, che infanga la convenzione di Ginevra del 1951”.