Parigi e Berlino, il patto di Aquisgrana

di Fabio Morabito
Chissà quanti italiani sapevano, prima che Alessandro Di Battista esibisse la riproduzione di una banconota alla trasmissione condotta da Fabio Fazio, una sorta di salotto in tv, che esiste ancora un franco francese, a vent’anni dall’introduzione dell’euro. E’ il franco francese coloniale, la valuta di 14 Paesi africani subsahariani. All’improvviso, in Italia si è cominciato a parlare di questo residuo dell’imperialismo francese. Di Battista, anche se non si è ripresentato come parlamentare (aspettando, è evidente, di rientrare più in là nella politica rappresentativa) è una delle figure di spicco del Movimento Cinque Stelle, e ha saputo toccare le corde giuste dell’inimicizia italo-francese nel clima complicato che prepara le elezioni Europee di maggio.
Il franco Cfa, e cioè Colonie francesi d’Africa, nel tempo ha cambiato il significato del suo acronimo, mantenendo le iniziali, in Comunità finanziaria africana. Chi contesta la tesi del colonialismo monetario ricorda come la Francia abbia dovuto ripianare a sue spese i bilanci traballanti dei Paesi aderenti al Cfa; chi sostiene la tesi dello sfruttamento, ricorda come questa stabilità sia garantita dall’obbligo degli aderenti di vincolare a Parigi metà delle riserve valutarie. E come pesi sulla prosperità dell’industria francese il controllo, fino al monopolio e a prezzi stracciati, sulle materie prime.

Fatto è che si è riaccesa la polemica fra i due vicini, appena pochi mesi dopo la vicenda dell’Aquarius, quando fu convocato l’ambasciatore di Francia a Roma da parte del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi per le dichiarazioni offensive da Parigi. Ora la scena si ripete a ruoli invertiti, ed è l’ambasciatrice d’Italia nella capitale francese, Teresa Castaldo, ad essere stata convocata in questi giorni per rendere conto dell’ostilità dei Cinque Stelle. Che non si ferma, e anzi arriva, con Luigi Di Maio, vicepremier e capo politico del Movimento, a mettere in discussione la sede di Strasburgo (in territorio francese) del Parlamento europeo. Macron, attaccato anche dal leader della Lega Matteo Salvini che lo definisce “pessimo presidente” prova a chiudere la polemica dicendo: “Il popolo italiano è nostro amico e merita governanti all’altezza della sua storia” che sembra lasciare intendere che Di Maio e Salvini non lo siano.
Ma l’inimicizia politica tra i due esecutivi sarà probabilmente uno dei temi forti della campagna elettorale per le Europee. Più per necessità dei Cinque Stelle, che hanno individuato un “nemico” europeo per riprodurre il clima che li ha visti vincere le elezioni politiche dello scorso anno; mentre Macron già da tempo si è ritagliato con poca credibilità il ruolo di difensore degli ideali europei contro populisti e sovranisti. E in questo il governo italiano è considerato l’espressione di forze poco rassicuranti, ma il fronte sovranista è individuato come minaccia più ampia e diffusa, peraltro presente con Marine Le Pen anche nella stessa Francia.

Quello di difensore dell’Europa così come era stata pensata dai padri fondatori è un ruolo a cui Macron dà una lettura molto particolare, e lo traduce in un’intesa con la Germania. Un’intesa sancita il 22 gennaio scorso con il solenne accordo di Aquisgrana, firmato nella città tedesca al confine con il Belgio, che fu la sede del trono di Carlo Magno, all’epoca re dei Franchi. «In un momento in cui l’Europa è minacciata al suo interno dal risorgere dei nazionalismi Germania e Francia devono assumersi la loro responsabilità e indicare la strada» ha commentato Macron, coerente con il ruolo che vuole attribuirsi di salvatore dell’Unione. In effetti, i riferimenti nel lungo testo dell’intesa allo sviluppo dell’Unione, ci sono, e sono molti. Ma messi in ombra dal filo conduttore di un’intesa tra i due Paesi che riguarda difesa e tecnologia comune fino alla produzione e vendita di armi, e soprattutto rivela la volontà quasi esplicita di voler trainare l’Unione europea sulle scelte prima condivise tra Berlino e Parigi.

C’è un punto, apparentemente molto concreto, ma in realtà irrealizzabile almeno da questa generazione, e riguarda un posto permanente per Berlino nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un posto che sarebbe stato riconosciuto anche all’Italia se non avessimo perso la Seconda guerra mondiale. La Francia, membro permanente, nell’accordo di Aquisgrana dichiara di appoggiare la richiesta di Berlino, che però sarà fermata dagli altri veti (Stati Uniti, Russia, Cina). Angela Merkel, per motivi di politica interna, aveva la necessità che si sapesse di questo suo tentativo. A Macron invece non costa niente chiedere qualcosa che non verrà dato al suo alleato, anche perché la sua azione diplomatica non arriverà a mettere in discussione il proprio di posto. Ma questa intenzione nelle parole ma non nei fatti è stata sufficiente a provocare la reazione seccata del primo ministro italiano Giuseppe Conte, che ha ricordato di come fosse da tempo sul tavolo la questione di un seggio permanente all’Unione europea in quanto tale. E l’asse Parigi-Berlino va nel senso di disattendere quella proposta.
Ma che interesse hanno Germania e Francia nello stipulare un accordo bilaterale circostanziato, al punto da vedere ministri ospiti nelle sedute di governo dell’alleato, un “patto” che richiama quello storico all’Eliseo di Konrad Adenauer e Charles De Gaulle del 1963 perfino nella data, il 22 gennaio, che punta dichiaratamente a un asse preferenziale? La Germania, che è la prima potenza europea, non ha superato il complesso di potenza sconfitta nella Seconda guerra mondiale, e la vergogna dell’Olocausto; entrare nella cabina di regia delle Nazioni Unite, e cioè nel Consiglio di Sicurezza, sarebbe un modo forte per superare in parte quel passato. La Francia ha un presidente non solo in crisi di consenso, ma continuamente contestato sulle strade dai “gilet gialli”. Un presidente che vuole rivendicare un ruolo di leadership cercando di non perdere l’occasione che la Gran Bretagna, con la Brexit, ha offerto, isolandosi non solo geograficamente.

Poi, c’è molto vapore: la mutua assistenza militare tra i due Paesi in caso di aggressione è prevista anche dell’Alleanza Atlantica, di cui Parigi e Berlino fanno già parte. E quando si usano parole inutili il sospetto è che si nasconda una debolezza. Perché se l’accordo di Aquisgrana a parole vuole dare scacco ai nazionalismi e populismi, nei fatti sceglie un’intesa tra nazioni, e antepone alle irrequietezze in giro per l’Europa non un progetto da proporre e condividere, ma un sovranismo allargato. E la reazione piccata del prudente Conte indica la debolezza, al di là delle intenzioni di Merkel e Macron. Si parla tanto di Europa, ma l’Europa in questa intesa non c’è.

Ma di questo non è colpa solo di Germania e Francia. Per riprendere il percorso delle origini c’è bisogno della volontà di tutti. In questo l’abbraccio tra Merkel e Macron potrebbe essere un azzardo diplomatico, perché attorno a loro potrebbe crescere scetticismo e diffidenza.

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