di Carlo Felice Corsetti
Ci sono due fatti, in questo inizio d’anno, che sono sintomatici della forza e della fragilità europea. Il primo, il 13 gennaio scorso, è avvenuto a Danzica, città polacca sul Mar Baltico, che ha attraversato la storia del Novecento (l’invasione nazista e lo scoppio della Seconda guerra mondiale; nacque qui il sindacato Solidarnosc durante la dittatura comunista). Durante un concerto di beneficenza, davanti a migliaia di cittadini, il sindaco Pawel Adamowicz è stato accoltellato sul palco. Morirà il giorno dopo. L’assassino è stato arrestato: si tratta di un pregiudicato di 27 anni, uno psicolabile, e il motivo dell’omicidio sembra solo apparentemente politico. Ma Adamowicz era il simbolo dell’accoglienza, difensore delle minoranze, un oppositore del governo sovranista di Varsavia. Un uomo di pace che ebbe a dire: “Danzica è un porto, deve sempre essere un rifugio per chi arriva dal mare”. Colpendo lui, è stata colpita la coscienza dell’Unione.
Il secondo episodio è del sabato dopo, il 19 gennaio, dall’altra parte dell’Europa. Un attentato nell’Irlanda del Nord che rievoca tempi che sembravano lontani. Un’autobomba che esplode a Derry, sul confine della Brexit. E’ un sabato sera, la vettura – rubata e riempita di esplosivo – era parcheggiata in una zona di locali e pub, di solito piena gente di gente sulla strada. Non ci sono state vittime, ma potevano essercene molte, e l’obbiettivo si è pensato fosse proprio quello: una strage. Anche Derry, come Danzica, è un luogo simbolico, è nella storia cupa dell’indipendentismo irlandese perché qui, nel 1972, i soldati britannici furono gli autori di un massacro di cittadini che protestavano pacificamente. I morti furono ventotto.
Sono due episodi che dimostrano la forza dell’Europa (e quindi le incognite di chi la vuole lasciare, come la Gran Bretagna: l’Irlanda del Nord è il punto meno risolto della Brexit) e la sua fragilità. Sempre in Polonia, il 27 gennaio la commemorazione della Giornata della Memoria davanti al campo di sterminio di Auschwitz, è stata turbata dalla protesta di una cinquantina di manifestanti dell’ultradestra. Sono segnali. Segnali che fanno temere per il futuro dell’Europa, per la difesa dei suoi valori di pace e tolleranza. C’è un’inquietudine diffusa, il malessere di una classe media impoverita, la crescente disoccupazione e precarietà, l’insofferenza verso il diverso come il migrante, che è però prima di tutto conseguenza di un disagio sociale. Il problema non sono i sovranisti in sé, che poi per lo più chiedono di cambiare l’Europa e non di uscire dall’Europa, e con tutta probabilità non sapranno sovvertire gli equilibri del governo dell’Unione alle prossime elezioni. Il problema è nell’Europa, che deve saper essere dalla parte dei suoi cittadini, sempre, e non essere ostaggio continuamente di tentazioni di supremazia al suo interno, o di interessi di burocrazia e di apparato. Più Europei è dalla parte degli europei, prima di tutto. Con questo numero cominciamo il secondo anno di pubblicazioni. Cercando, sempre di più e meglio, di raccontare l’Europa. Per capirla, per cambiarla, per difenderne i valori. Grazie se questo cammino volete condividerlo con noi.