di Alessandro Butticé
Quelle in materia di concorrenza sono tra le principali e più incisive politiche europee a difesa del mercato, delle imprese e dei cittadini consumatori dell’Unione Europea.
La Commissione Europea, insieme alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri (in Italia l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), applica direttamente le regole di concorrenza dell’UE (articoli 101-109 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea TFUE), assicurando una sana concorrenza in condizioni di parità tra tutte le imprese e contribuendo così ad un miglior funzionamento del mercato interno.
Secondo il Trattato sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno. Per esempio, il Trattato vieta accordi tra imprese consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione. Vieta inoltre accordi che hanno come oggetto o effetto quello di limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, o di ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento.
Nell’UE è poi incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
All’interno della Commissione Europea, che è il guardiano dei trattati dell’Unione Europea, la Direzione Generale della Concorrenza (DG COMP) è competente ad intervenire in questa materia. I poteri ad essa attribuiti sono però rigorosamente limitati: essa può intervenire solo se ha prove di un’infrazione alle regole di concorrenza e le sue decisioni sono suscettibili di ricorso alla Corte di giustizia dell’UE. A capo della DG COMP, dal settembre del 2015, vi è il giurista tedesco Johannes Laitenberger. Già Portavoce della Commissione e poi Capo di Gabinetto del Presidente Barroso, prima di essere nominato Vicedirettore Generale del Servizio Giuridico. A 54 anni, Laitenberger è oggi al vertice di uno dei più importanti dipartimenti della Commissione.
Più Europei lo ha intervistato.
Perché è importante per l’Europa avere una politica di concorrenza comune?
“Le regole sulla concorrenza e sugli aiuti di stato esistono dall’inizio del progetto europeo, negli anni Cinquanta. Il controllo delle concentrazioni è stato aggiunto come strumento specifico sulla base di un testo di diritto secondario. La doppia ratio: l’Europa è un progetto di pace, le norme a tutela della concorrenza sono un progetto di pace economica. Perché la competizione economica deve svolgersi secondo certe regole. Noi non definiamo i risultati ma siamo garanti del fatto che per imprese e Stati membri la competizione si svolga secondo delle regole che sono state accettate da tutti in Europa. Allo stesso tempo l’Europa è un progetto di prosperità, e dunque le regole sono state anche concepite come uno strumento per garantire che il processo della concorrenza possa dare ai cittadini europei tutto quello che una sana concorrenza può permettere in termini di prezzi, in termini di scelte, in termine d’innovazione. Ed aggiungerei una terza dimensione, che è stata forse cristallizzata solo negli ultimi decenni, ma che in fondo era già presente negli anni 50. È che nella nostra realtà globalizzata, l’Europa pesa se siamo uniti, e pesa meno se non siamo uniti. Quindi garantire questa azione comune evita che gli uni giochino contro gli altri. E se dico che noi siamo i garanti che la competizione si svolga secondo certe regole, vuol dire che questo nostro ruolo si deve basare su un’analisi economica attenta, aggiornata, e nel rispetto del diritto, delle regole di procedura e delle regole sostanziali. Penso che nel corso dei decenni il diritto della concorrenza ha potuto contribuire su diversi piani alla costruzione dell’Europa e al completamento del mercato interno. Il mandato della Commissaria Margrethe Vestager ha portato numerosi risultati importanti. Penso all’esempio del digitale. È una promessa enorme, un’enorme potenziale. Ma il digitale può anche restringere la concorrenza, ed il fatto che siamo capaci di far rispettare le regole ad imprese molto grandi che sono attive a livello mondiale, e i recenti casi di Google sono solo tre esempi, dimostra che avere un quadro europeo comune ha un peso importante nel mondo.
Allo stesso tempo se guardiamo agli aiuti di stato, sono stati vietati quelli che comportavano vantaggi selettivi a certe imprese. Questo ha permesso di evitare che gli Stati giochino gli uni contro gli altri e che la concorrenza venga falsata. Noi non armonizziamo le imposte, ma garantiamo, con la nostra azione, che tutte le imprese, anche multinazionali, siano trattate allo stesso modo”.
Come spiegherebbe in due parole i vantaggi della politica europea della concorrenza per l’uomo della strada?
“Abbiamo diversi esempi. Prendiamo quello della lotta ai cartelli. I cartelli hanno come conseguenza che i consumatori o altre imprese vengano private del diritto a un prezzo che è formato in modo concorrenziale, ma paghino al contrario un prezzo che i fornitori giudichino di comune accordo come un “buon prezzo” per loro. Penso quindi alla Commissione che si occupa di casi come quelli recenti sui componenti automobilistici venduti ai costruttori di automobili per la fabbricazione di autoveicoli. Un intervento questo, a tutela dei prezzi, ma anche della qualità dei veicoli prodotti. Se prendo poi un caso come quello di Google Shopping, il cuore di questo caso è che Google ha utilizzato la sua posizione dominante nella ricerca generale per imporsi in modo anti-concorrenziale anche nei servizi comparativi d’acquisto. Con un prodotto che all’inizio era inferiore a quello dei concorrenti. Riducendo in questo modo la concorrenza, da un lato tutta una serie di imprese sono state danneggiate. Ma sono stati danneggiati anche i consumatori, perché c’è stato un minore servizio comparativo d’acquisto. Prendiamo anche come esempio la nostra inchiesta di settore sul commercio elettronico ed i casi che ne sono derivati, così come i casi di RPM (acronimo per “prezzo minimo di vendita”). Questi comportamenti limitano la concorrenza transfrontaliera e non consentono ai consumatori di trarre beneficio diretto dal mercato comune. Tali condotte anticompetitive portano ad una situazione dove i consumatori ottengono meno di quanto dovrebbero avere in condizioni normali di un’economia di mercato”.
Cosa ci può dire dei suoi rapporti con l’Italia?
“L’Italia rappresenta una parte molto importante del mercato interno. I casi che ho menzionato hanno un impatto molto importante sui consumatori italiani. Altro esempio: tre anni fa abbiamo esaminato il livello di concentrazione nel mercato della telefonia mobile in Italia, tra Hutchison 3 e Vimpelcom Wind. La nostra preoccupazione è stata quella di garantire una situazione che mantenga in questo mercato la pressione concorrenziale finalizzata a dare ai consumatori un prezzo, una scelta, una qualità e delle innovazioni che questi si possano attendere. Penso che l’impegno che è stato accettato dalle parti, permettendoci di autorizzare la concentrazione, e cioè che un nuovo operatore, nello specifico Iliad, entri nel mercato, stia funzionando. Permette infatti alle parti dell’operazione di realizzare il progetto di concentrazione, ma allo stesso tempo mantiene la necessaria pressione concorrenziale, e quindi il consumatore e utente italiano non è leso.”
Come sono i rapporti con gli organi di controllo italiani?
“Abbiamo una strettissima collaborazione con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e con la Guardia di Finanza. L’Autorità Garante, l’Antitrust, è il nostro partner italiano nel quadro della Rete Europea della Concorrenza. Applichiamo in parallelo le regole europee. Le regole di suddivisione del lavoro tra la Commissione e l’Autorità garante per il controllo delle concentrazioni si basano sulla dimensione delle imprese coinvolte. Per semplificare, le operazioni che hanno una dimensione europea o mondiale sono esaminate a Bruxelles, mentre le operazioni più concentrate sul mercato italiano, sono esaminate dall’Autorità italiana. Penso che questa cooperazione funzioni molto bene, perché suddividendo il lavoro in questo modo siamo molto più efficienti che lavorando da soli. Agiamo anche su base della complementarità. Per esempio, l’Autorità Garante ha indagato su una situazione di prezzo eccessivo nel campo farmaceutico, nel caso Aspen, e preso una decisione, qualche tempo fa sanzionando certe pratiche di questa impresa in Italia. In seguito noi abbiamo analizzato se il comportamento fosse presente anche negli altri Stati membri. È un’inchiesta che non è conclusa, quindi non posso dire se ci sia stata una simile pratica altrove, perché la presunzione d’innocenza s’impone. L’Italia ha concluso il suo procedimento a livello nazionale e noi possiamo avviare una verifica per accertare se la stessa pratica esista o meno in altri Stati membri. Per quanto riguarda la Guardia di Finanza, abbiamo sempre collaborato, come anche con l’Autorità, sin dal momento in cui abbiamo cominciato a fare delle ispezioni in Italia nel quadro della lotta ai cartelli. Questa cooperazione si è intensificata quando la Guardia di Finanza ha trasmesso alla DG COMP, in un caso che ha fatto giurisprudenza (caso Exotic fruit), informazioni sull’esistenza di un cartello ottenute nel quadro delle sue proprie attività d’indagine. Queste informazioni ci hanno consentito di avviare un’inchiesta e di sanzionare le imprese coinvolte. La legittimità di tale trasmissione e dell’uso da parte della Commissione delle informazioni quali prove di un comportamento illecito è stata confermata dalla Corte di Giustizia. Il caso è nato nel 2007. La decisione della Commissione è del 2011, e la sentenza della Corte di Giustizia è arrivata nel 2017 (n.d.r., i dossier sulla concorrenza, presso il Servizio Giuridico della Commissione Europea, sono seguiti da anni dal Generale della Guardia di Finanza, in congedo, Pierpaolo Rossi, uno dei più esperti consiglieri giuridici della Commissione Europea). Bell’esempio dell’intensificazione di questa collaborazione: beneficiamo dal 2015 anche di un Esperto Nazionale Distaccato della Guardia di Finanza, che combina un’esperienza investigativa e una conoscenza del diritto della concorrenza che non è l’esperienza di un comune avvocato o economista e quindi ha rinforzato il pool dei nostri talenti e la nostra capacità investigativa. È una cooperazione molto fruttuosa, che sta portando notevoli risultati”.
Ora mi piacerebbe invece avere il suo pensiero, da ex portavoce della Commissione Europea, sulla percezione critica dell’Europa da una parte crescente dell’opinione pubblica, nonostante i tanti successi di politiche europee come quella della concorrenza.
“Penso che viviamo in un tempo di grande cambiamento tecnologico, economico di società e ciò, come sempre, ha come conseguenza, nella gente, delle preoccupazioni. E penso anche che bisogna rendersi conto che i vantaggi e gli inconvenienti dello sviluppo non sono sempre distribuiti n modo uguale. Ci sono persone che sono beneficiarie naturali di certi sviluppi, ed altre che ne approfittano meno. Dunque, da un lato, abbiamo bisogno di politiche come la concorrenza, che assicurino che la competizione si svolga secondo certe regole. E ci vogliono anche delle politiche, che facciano fronte alle diseguaglianze e che le correggano. Come le politiche regionali, sociali, di coesione, di educazione o altri interventi sul piano nazionale ed europeo. Ma poiché tutti questi cambiamenti sono cambiamenti a livello mondiale, penso che in questa piccola parte del mondo (basta guardare un mappamondo, per capire che l’Europea è molto piccola rispetto al resto del mondo), se non facciamo le cose insieme non possiamo pesare. Non posso quindi dire che automaticamente ogni soluzione europea sia la sola possibile o la migliore. In Europa come dappertutto, c’è una certa fallibilità degli uomini, dunque bisogna cercare le buone soluzioni, testare, vedere ciò che funziona e cambiare ciò che non funziona. Ma penso che quello che è stato dimostrato e testato è che le soluzioni sono migliori se ricercate e trovate assieme. Non è dandoci le spalle che risolveremo i problemi. Il Presidente Juncker l’ha detto chiaramente: se vogliamo conservare una capacità decisionale, dobbiamo farlo assieme”.
Ancora quale ex Portavoce della Commissione Europea, quale consiglio darebbe a un quindicinale come Più Europei, che vuole essere un sostenitore, seppure critico, quando necessario, della costruzione europea?
“Portare i fatti, le cifre, le storie, come sono. I momenti distruttivi della storia, sono momenti in cui bisogna guardare due volte le cose per vedere quali sono veramente le realtà e le plausibilità. Dunque prima di tutto, guerra alle fake news. Se guardiamo la terra su una carta geografica, ci sembra piatta, ma non è piatta. Poi bisogna inserirsi nelle dinamiche dei social. Sappiamo, lei ed io, che siamo stati entrambi portavoce, che i social e la comunicazione digitale sono oggi i media più seguiti. Non vuol dire che i media tradizionali non hanno più importanza. Ma i giovani oggi leggono sempre meno i giornali e sempre meno guardano la televisione. Bisogna quindi entrare nei social con il linguaggio adattato. Sulla base dei fatti, bisogna lanciare il dibattito sull’Europa. Un dibattito aperto, che ascolta le due parti. Ma con rispetto. La mia ultima osservazione: il limite della comunicazione web é che spesso scatena mancanza di rispetto reciproco. La gente spesso si parla su internet come non oserebbe farlo di persona. Noi due siamo stati dei portavoce e sappiamo che è regola democratica che le istituzioni siano criticate. Questo è perfettamente normale e accettabile. Ma bisognerebbe che il discorso, da una parte e dall’altra, sia rispettoso e che non si neghi mai la buona volontà alle diverse opinioni. Tutto ciò deve però venire dalla società civile. I poteri pubblici possono appoggiare certe cose, inquadrarne altre, ma in fin dei conti è la società civile che costruisce il nostro avvenire”.