L’ordine di protezione europeo nella legge italiana

di Giuseppe Maria Gallo (*)


In Europa, i dati relativi alla violenza sulle donne sono piuttosto allarmanti. Sotto questa spinta, la normativa si è evoluta e non soltanto poiché, in Italia, venga consumato un femminicidio ogni tre giorni.
Infatti, tutto sommato, il nostro Paese pare presentare un quadro meno fosco dei suoi omologhi continentali.
L’Agenzia per i diritti fondamentali della Ue stima che, nel nostro paese, le donne vittime di violenza fisica o sessuale, dai quindici anni in poi, siano il 27% della popolazione di genere, a fronte di un 52% in Danimarca, di un 47% in Finlandia e di un 44%, a pari merito, in Francia e nel Regno Unito.
Le percentuali, pur nella loro importanza, non mutano in ordine alle molestie sessuali, con un 15% in Italia, un 32% in Danimarca, un 27% in Svezia e nei Paesi Bassi, e 24% in Francia e Belgio).
Circa la violenza subita, in particolare, dai partner, la nostra nazione si attesta al 15-20%, mentre, ben più significativi appaiono i livelli dei Paesi del Nord Europa e dell’Est. Dunque, al di là delle distinzioni, una vera e propria epidemia che ha condotto ad una necessaria riflessione normativa che l’Europa, da tempo, sollecitava.
In Italia, la genesi dell’ordine di protezione europeo è condensata, sicuramente, nell’inquietante e parziale elencazione che precede.
Secondo una delle ultime indagini sulla sicurezza, quasi un terzo delle donne riferisce di aver subito molestie o violenza; dalla stessa fonte, si ricava come gli autori siano, in prevalenza, i partner, attuali o ex e che circa il 20% delle vittime sia stata ricoverata in ospedale, per effetto delle ferite riportate.
Un capitolo a parte è costituito dalle molestie sul luogo di lavoro; anche in ispecie, i risultati sono allarmanti, con poco meno di un milione e mezzo di donne che, sul luogo di lavoro, sono state esposte a molestie o ricatti sessuali per ottenere un’occupazione o per mantenerla. Nel contrasto alla violenza sulle donne, un ruolo di indubbio rilievo riveste il reato di atti persecutori, lo stalking, introdotto, nel codice penale italiano, dieci anni fa e modificato col cosiddetto decreto-legge anti-femminicidio.
I casi denunciati si attestano su ben oltre le diecimila unità, con una propensione, purtroppo, in costante crescita.
L’ordine di protezione europeo rappresenta un efficace strumento di contrasto nei riguardi di tale turpe reato, ma, ancor di più, esso risulta decisivo per inibire la violenza domestica, dalla quale, usualmente, derivano tutti i reati, femminicidio incluso.
Questo importante istituto, ossia l’ordine di protezione europeo, è stato introdotto, nell’ordinamento italiano, con decreto legislativo n°. 9/15, in attuazione delle disposizioni della direttiva 2011/99/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio sul “riconoscimento reciproco degli effetti delle misure di protezione adottate da autorità giurisdizionali degli Stati membri, nei limiti in cui tali disposizioni non si pongano in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, di libertà e di giusto processo”.
Un altro significativo passo in avanti dello spazio comune dei Paesi dell’U.E., che, attraverso l’ordine di protezione europeo, si indirizzano, ancor di più, verso la piena collaborazione con il mutuo riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie nel rispetto dell’art. 82 del T.F.U.E..
Insomma, l’ordine di protezione europeo come rafforzamento della tutela di quelle vittime che, da soggetti appartenenti all’U.E., intendano esercitare, liberamente, i loro diritti di circolare e di risiedere all’interno del territorio degli Stati membri.
L’ordine di protezione europeo è emesso, su richiesta della persona protetta, con un’ordinanza contenente le generalità di quest’ultima, quelle del soggetto pericoloso, le informazioni complete sul provvedimento applicativo della misura per cui è stato emesso il detto ordine unitamente al richiamo delle eventuali applicazioni di quegli strumenti tecnologici finalizzati al controllo a distanza.
Sul piano strettamente normativo, si rileva l’introduzione, nel nostro codice di procedura penale, dell’informazione alla persona offesa (vittima del reato) della possibilità di richiedere, al giudice, l’emissione di un ordine di protezione europeo per una misura cautelare (allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
Sempre che la persona protetta dichiari: “…di soggiornare o risiedere all’interno di uno Stato membro ovvero che manifesti l’intenzione di risiedere o soggiornare in altro Stato membro”.
La normativa discerne, poi, fra la nozione di “misura di protezione” e quella di “ordine di protezione europeo”, considerando la prima come una “decisione adottata in materia penale da un organo giurisdizionale o da altra diversa autorità competente, che si caratterizzi per autonomia, imparzialità e indipendenza, di uno Stato membro dell’Unione europea con la quale vengono applicati divieti o restrizioni finalizzati a tutelare la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale della persona protetta contro atti di rilevanza penale” e la seconda come una “decisione adottata dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro con la quale, al fine di continuare a tutelare la persona protetta, viene disposto che gli effetti della misura di protezione si estendano al territorio di un altro Stato membro in cui la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risiedere o soggiornare”.
In Italia, la procedura non si esaurisce solo sul piano giurisdizionale, essendo previsto che l’ordine di protezione europeo sia trasmesso, senza ritardo, al Ministero della Giustizia per il successivo invio all’autorità competente nello Stato di esecuzione “con qualsiasi mezzo idoneo a comprovare l’autenticità del documento”.
Sarà sempre di attribuzione ministeriale, nel caso di diniego all’accoglimento del destinatario, la comunicazione all’autorità giudiziaria di emissione affinché ne informi il soggetto da proteggere.
Nel nostro Paese, sul riconoscimento dell’ordine di protezione europeo decide la corte d’appello nel cui distretto il richiedente abbia dichiarato di soggiornare o di risiedere o presso cui intenda farlo.
Di guisa, in obbedienza all’impianto normativo, il giudice di secondo grado dovrà disconoscere l’ordine quando:
1) le informazioni fornite dallo Stato di emissione risultino incomplete;
2) la misura di protezione comporti obblighi non riconducibili a quelli delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa coniugale e/o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
3) la misura di protezione sia stata disposta in riferimento a un fatto che non costituisca reato secondo la legislazione nazionale;
4) la persona sia stata giudicata in via definitiva per gli stessi fatti da uno degli Stati membri, purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna;
5) i fatti per i quali sia stato emesso potuti giudicati in Italia e si sia già verificata una causa di estinzione del reato o della pena;
6) per i fatti per i quali venga emesso l’ordine di protezione, sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, salvo che sussistano i presupposti per la revoca della sentenza di non luogo a procedere;
7) sussista una causa di immunità riconosciuta dall’ordinamento italiano;
8) la misura di protezione sia stata applicata dallo Stato estero nei confronti di una persona che, al momento della commissione del fatto, non fosse imputabile secondo la legge italiana;
9) la misura di protezione sia stata adottata nello Stato di emissione con riferimento a reati che, in base alla legge italiana, siano considerati come commessi, in tutto od in parte, all’intero del territorio dello Stato o in altro luogo a questo equiparato.
Se la persona che determina il pericolo vìola le prescrizioni dell’ordine di protezione, la polizia giudiziaria ne dovrà informare il procuratore generale ed il presidente della corte d’appello; di talché, sussistendo i presupposti per l’applicabilità di una misura più grave, la stessa corte d’appello, su richiesta del procuratore generale, provvederà in ragione dell’entità, dei motivi e delle circostanze dell’infrazione, altresì determinando la data di scadenza (non oltre i trenta giorni) del provvedimento.
Le decisioni su proroga, riesame, modifica, annullamento, sostituzione della misura di protezione presupposta all’ordine di protezione spettano all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione, la quale, inoltre, sarà competente per l’eventuale applicazione di provvedimenti cautelari ingravescenti.
Intervenuta, poi, la comunicazione della modifica delle misure attuate mediante l’ordine di protezione europeo, la corte d’appello potrà procedere alla revoca/sostituzione di esse, non solo per quanto riguarda la loro natura, ma, anche, circa le loro modalità applicative.
La corte d’appello sarà deputata a dichiarare la cessazione dell’efficacia del riconoscimento dell’ordine di protezione qualora riceva comunicazione che l’autorità competente nello Stato di emissione abbia annullato o revocato la misura di protezione, oppure, modificato il suo contenuto e non sussista più corrispondenza tra le prescrizioni imposte e quelle conseguenti all’applicazione delle misure dell’allontanamento dalla casa coniugale e/o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

(*) Patrocinante in Cassazione Penalista del Foro di Genova

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