Sovranisti falso problema

di Fabio Morabito


C’è una tentazione, soprattutto a casa nostra, di leggere le prossime elezioni europee in chiave di equilibri politici nazionali. Da diversi giorni si legge che se i Cinque Stelle scendono sotto il venti per cento…se la Lega avanza ancora…tutto questo affosserebbe il governo guidato ora da Giuseppe Conte. Ma quando gli italiani votano per le europee votano tradizionalmente in modo diverso di quello che farebbero per le politiche nazionali, oppure per le amministrative. E questo peraltro è assai ragionevole perché le risposte, le necessità, le aspettative possono essere diverse.
C’è poi un insieme di valutazioni politiche, queste da tutta l’Europa, che guardano a queste elezioni ragionando su quali blocchi verranno a formarsi. Il tedesco Manfred Weber, candidato del Partito popolare europeo alla guida della Commissione nel posto che ora è del lussemburghese Jean-Claude Juncker ha già chiarito che non farà mai alleanze con i cosiddetti sovranisti, a cominciare dalla Lega di Matteo Salvini. Il politico bavarese scelto dalla cancelliera Angela Merkel per il dopo-Juncker, è stato chiaro: cercherà un compromesso con i socialisti, i liberali e le altre forze europeiste. Ma nonostante Weber affermi con energia di non voler accordarsi con Matteo Salvini e i sovranisti, in realtà è noto che vorrebbe le frontiere se non chiuse almeno semiblindate per i migranti. E questo, passato il tempo della campagna elettorale, lo potrà rendere gradito a partiti che per ora indica come avversari. Il Partito popolare è il favorito alle elezioni, e difficilmente ci sarà nel voto di maggio quel terremoto di equilibri di cui si sente ora parlare. Lo spauracchio sovranista ha infatti una debolezza insita in sé: perché i nazionalisti, proprio in quanto tali, sono divisi tra di loro.
E ognuno fa i propri giochi in beffa delle apparenze, come il leader ungherese Viktor Orban, che a tutt’oggi sembra molto più interessato a restare nella famiglia del Partito popolare, dove pure è contestato per le sue politiche giudicate illiberali, che in un blocco di sovranisti.
Ma anche questo ragionare in termini di aritmetica partitica, o su vecchi programmi, non è la risposta che ci si aspetta dall’Europa. Proprio la Brexit, già passata da realtà a eventualità, con il suo devastante effetto sulla credibilità della politica britannica rispetto ai suoi stessi cittadini, dovrebbe far capire che l’Europa unita ha tutti i difetti possibili ma non ha un’alternativa. Proprio come la democrazia che Winston Churcill definì la peggior forma di governo escluse tutte le altre.
Può l’Europa, nel mondo che sta cambiando, con la Cina che si prepara all’epocale sorpasso degli Stati Uniti come prima potenza, affrontare le nuove sfide divisa? Può l’Europa rinunciare a quel tessuto di valori storici e culturali che la accomuna e che la rende una realtà unica rispetto al resto del mondo? No, non può. E non ha senso che rinunci a tutto questo. Se la Gran Bretagna non ci dovesse ripensare, sulla strada della Brexit sarà la prima a pagare un prezzo alto. E non le basterà rafforzare il rapporto privilegiato che trova la prima ragion forte nella lingua comune con gli Stati Uniti.
Quello che ci si aspetta dall’Europa è altro. E il malessere nei Paesi fondatori (a cominciare dalla protesta dei cosiddetti “gilet gialli” in Francia) è la conseguenza di politiche che hanno aumentato le differenze tra le classi, e impoverito i ceti di massa. Ci si aspetta un ruolo guida sui grandi temi del mondo che verrà, a cominciare dalla tutela dell’ambiente. Un’Europa che deve essere modello nell’intervenire in controtendenza sulle disuguaglianze, che sono poi la benzina del fuoco del sovranismo. Un’Europa unita nelle politiche sociali, dove l’abolizione dei confini non sono solo la strada per liberalizzare i mercati, ma sono l’abbraccio e l’interazione di culture ricche di storia, diverse a affini allo stesso tempo. Si parla tanto di unione economica-finanziaria, ma quello che unisce l’Europa non è solo la sfida dei mercati, bensì l’opportunità di una leadership culturale e sociale.
La cooperazione è nata in Europa, ed è modello vincente nell’occupazione e nel progresso. Serve quest’Europa, un’Europa forte, ambasciatrice di pace, di solidarietà, di sviluppo sostenibile. Questa è la vera sfida.

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