La lunga fila al voto degli italiani a Bruxelles

di Alessandro Butticé

All’indomani delle elezioni forse più europee ma meno europeiste della storia dell’europarlamento, è tempo di conti e consuntivi. Anche se in campagna elettorale si è parlato davvero poco di Europa (e molto di lotte politiche interne, prendendo solo a pretesto il tema europeo), sono tra quelli che, non perdendo l’ottimismo (anche se mentre scrivo lo spread italiano è già salito a 290), spera che da questo scenario che caratterizzerà il nuovo europarlamento, possa nascere un germe che rafforzi, e non metta a rischio, la costruzione europea. Vedremo se chi ha ottenuto i successi elettorali sull’onda del cosiddetto sovranismo saprà ora mantenere e coniugare nella pratica le promesse elettorali, difendendo al meglio gli interessi vitali del suo paese. Mission impossible, di fronte alle sfide globali epocali, al di fuori di un rafforzamento delle politiche europee economiche, finanziarie, ambientali, sociali, a protezione (intelligente e realistica, però) delle proprie frontiere esterne, della sicurezza e per l’occupazione (soprattutto, ma non solo, giovanile). Garantendo, senza mai ridurre, la libertà e i diritti umani di cui godono oggi i cittadini europei. Che non devono essere dati per scontati. In altri termini se saranno capaci di passare dal sovranismo nazionale all’unico sovranismo che può fare fronte alle più urgenti sfide di questo secolo: il sovranismo europeo. Resterà poi anche da vedere se chi, pur avendo perso parte del consenso, è riuscito comunque a fare fronte all’euroscetticismo galoppante, mantenendo una posizione pur sempre rilevante, ancorché non maggioritaria -cioè le due grandi famiglie politiche dei popolari e socialisti, che saranno costrette a trovare un nuovo asse europeista allargato, probabilmente assieme ai liberali e forse ai verdi -saprà difendere nei fatti quella costruzione europea che ha dichiaratamente difeso in campagna elettorale. Anche se non sempre con argomenti molto convincenti ed adeguati ai tempi. In attesa di vedere come si comporteranno i nuovi schieramenti, a cominciare dalle alleanze parlamentari, per proseguire con la nomina dei Presidenti del Parlamento e delle altre Istituzioni Europee (Commissione, Consiglio e Banca Centrale), e finire con quella dell’Alto Rappresentante per la Politica estera e la sicurezza (cinque cariche istituzionali europee oggi ricoperte da ben tre italiani: Tajani, Draghi e Mogherini) voglio fare un paio di considerazioni in libertà. Ispirate dai social, ove ho dato il mio contributo al dibattito pre-elettorale, e continuo a esprimere il mio pensiero da patriota italiano ed europeo. A difesa dell’Italia in Europa e dell’Europa in Italia. Sempre nel tentativo di basarmi unicamente sui fatti a me noti, e libero da ogni condizionamento ideologico.

Seggi elettorali italiani a Bruxelles
Il primo spunto mi è dato da un post su Facebook di un amico, già autorevole dirigente della Commissione Europea, dove racconta la sua esperienza di elettore a Bruxelles nelle liste italiane. Ed in particolare quella della lunghissima fila che gli elettori italiani in Belgio hanno dovuto fare, nel bel Parco del Cinquantenario della Capitale, prima di poter entrare nei (pochi, a dire il vero) seggi elettorali allestiti all’interno del Museo dell’Automobile. A conclusione del suo post -piuttosto critico sui lunghi tempi di attesa per votare il primo giorno delle elezioni, venerdì 24 maggio, dalle 17 alle 22 -il connazionale scrive: “Ho incontrato nella fila alcuni giornalisti tra i quali alcuni della Rai. Erano scandalizzati come me. Chissà se le loro redazioni avranno il coraggio di parlare di queste débâcles?” Voglio quindi rispondere alla sua domanda riportando, un passaggio del suo posto e alcune mie considerazioni. “Non si sfugge alla conclusione che il caos che ho visto con i miei occhi”, scrive FC, “se replicato in altri paesi e seggi elettorali, sia dovuto alla volontà di questo governo di scoraggiare il voto degli italiani all’estero che gli è molto meno favorevole di quello di chi vive in Italia. Ho l’impressione che il numero dei seggi debba essere stato fortemente ridotto” Dopo aver proseguito nella descrizione dettagliata del tempo che ha dovuto dedicare all’attesa di esercitare il suo diritto di voto (alle 2215), ha concluso il post precisando quanto ho io stesso avuto modo di constatare personalmente, e cioè che: “tutte le persone addette ai lavori con le quali ho parlato sono state molto gentili, la situazione era molto imbarazzante per tutti loro. Hanno detto che avrebbero fatto votare tutti quelli che erano in fila, probabilmente superando di una buona ora l’orario ufficiale. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia spende per la sua amministrazione pubblica meno della maggioranza dei paesi europei; la cattiva qualità dei servizi non casca dal cielo: è dovuta a leggi inadeguate, una mancanza di capacità organizzativa e a una insufficienza di fondi” Posso confermare che la fila era molto lunga, ed i tempi di attesa pure. Va però aggiunto che, probabilmente anche a causa della bella giornata, ed il fatto che i seggi fossero nel parco che si affaccia sul quartiere sede principale delle Istituzioni UE, molti elettori che lavorano presso le Istituzioni abbiano scelto lo stesso momento per andare a votare, alla fine della loro giornata e settimana lavorativa. Provocando così un afflusso contestuale più numeroso di quanto la macchina organizzativa dei Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale potessero attendersi. Le elezioni durante la giornata di sabato 25 (dalle 8 alle 18) si sono, infatti svolte con molto minore attesa da parte degli elettori, che in alcuni momenti era di solo qualche minuto. Ho inoltre apprezzato un commento dell’Ambasciatrice italiana in Belgio, Elena Basile, la quale, confermando una volta di più di non aver esitazione a mettere la sua faccia, anche sui social, per rappresentare -al meglio delle possibilità che le vengono offerte – l’Italia, in un post su FB ha scritto: “alle valutazioni che mi stanno pervenendo dagli addetti abbiamo registrato una affluenza straordinaria, che unita alle carenze di personale dovute anche a circostanze fortuite, indipendenti dalla volontà ministeriale, hanno causato lunghe file ai seggi. Mi scuso con gli elettori, chiedendo la loro comprensione per il personale del consolato che, insieme ai funzionari dell’Ambasciata, ai presidenti dei seggi, agli scrutatori e ai carabinieri stanno facendo il possibile ed il loro dovere” Questo post, con le scuse anche per colpe non sue o dei suoi collaboratori – cui in Italia non si è troppo spesso abituati a leggere o ricevere – lo ritengo un bell’esempio, fornito dalla più alta rappresentante italiana in Belgio, di ciò che tanti cittadini spesso attendono in vano dalle amministrazioni italiane. Sempre per esperienza personale diretta, aggiungo anche che le file di elettori -prima sotto il sole del tardo pomeriggio, e poi sotto il venticello serale primaverile -sono state anche l’occasione per un’iniezione di ottimismo, sotto il segno di una grande ed entusiasta partecipazione degli italiani residenti nella capitale europea. Nonostante l’attesa, ho infatti registrato un’aria gioiosa ed entusiasta. Ma anche tanto senso civico, nel rispetto della fila e nella paziente attesa da parte degli elettori. Che non hanno perso l’occasione per socializzare tra loro. Ed anche questa è un’Italia che va In attesa dell’arrivo del “sovranismo europeo” raccontata. Un’Italia da amare, e che va aiutata a migliorarsi e a migliorare la nostra seconda Patria: l’Europa. Sapendone conoscere e riconoscere i grandi pregi, ma anche i limiti, che sono ostacoli da superare.

Vizi collettivi e virtù individuali degli Italiani
Vengo quindi alla mia seconda considerazione post elettorale, che trae anch’essa spunto da una conversazione sui social. Questa volta in un gruppo più ristretto. Con amici e vecchi compagni d’armi. Commentando la situazione politica ed economica italiana degli ultimi anni, soprattutto alla luce dei risultati delle elezioni europee, ed in particolare del repentino tracollo del Movimento 5 Stelle, non ho potuto non fare un parallelismo con la storia italiana della prima metà del secolo scorso. Ma anche con quella dell’Italia ai tempi di Dante Alighieri. Il mio timore – che spero sempre possa essere solo un’impressione che verrà smentita dai fatti – è che gli italiani di oggi non siano poi così diversi da quelli, cui si riferiva l’Alighieri, che abitavano un’Italia che era davvero poco più di un’”espressione geografica”. E neppure molto diversi dai tanti italiani che, dopo il tracollo del Fascismo, sono transitati con estrema disinvoltura e rapidità da Piazza Venezia a Piazzale Loreto. Anche se con giacche diverse. Cioè un popolo abituato più di altri a fare passare “dalle stelle alle stalle”, in meno di un batter d’occhio, coloro che un attimo prima applaudivano con la stessa foga ed entusiasmo con la quale gli ultrà inneggiano dalla curva da stadio ai loro idoli. Il mio commento si concludeva con l’auspicio che l’attuale vincitore -in Italia -della sfida elettorale europea, Matteo Salvini, comprenda rapidamente che nemmeno lui può considerarsi immune dalla sorte toccata (solo da ultimi), al PD di Renzi appena ieri, ed oggi ai 5 Stelle di Di Maio. E quindi comprenda l’esigenza di adattarsi rapidamente alla realtà. E la realtà di oggi è che lo spread è già salito a 290, e che l’Italia ha sempre più bisogno di Europa come l’Europa ha bisogno dell’Italia. Ma soprattutto che solo in un’Europa forte e vincente, si potrà avere quell’Italia forte e vincente che i sovranisti nostrani dicono di volere. Il resto restano solo chiacchiere da propaganda elettorale o da bar sport. Il mio rispettabile interlocutore, ha allora ribattuto che non gli piaceva questo giudizio “negativo” sugli italiani: “gli italiani non sono diversi dagli altri: gli uomini devono vivere, e se necessario ed indispensabile si adeguano alla situazione. Nella storia abbiamo tanti esempi. Gli spagnoli, in breve tempo, sono passati dal cristianesimo alla religione mussulmana, per poi tornare ad essere cristiani. È così per tutti non solo per gli italiani. Nel caso specifico però non si tratta di sopravvivenza ma di una specie di esaltazione collettiva. È un po’ come se fosse il risultato di un’efficace azione pubblicitaria. E anche questo comportamento non è esclusivo degli italiani”. Dopo avergli sottolineato la mia fierezza (mai rinnegata e che mai rinnegherò), di patriota italiano ed europeo, ho risposto le ragioni per cui non condividevo il suo pensiero, e che considero il relativismo generalizzato un po’ pericoloso, anche perché non porta a nulla di concreto. Alla stregua degli stereotipi. Una seria autocritica è invece sempre necessaria. Anche se non deve mai sfociare nel gratuito autolesionismo o nell’auto commiserazione, che spesso in Italia viene alternata all’autoesaltazione. Bisogna infatti prendere serenamente atto del fatto che ogni popolo (come collettività dei suoi appartenenti) ha la sua storia e anche le sue particolarità. Che ogni popolo ha i suoi pregi e i suoi difetti. Perché non esiste un popolo perfetto, per la semplice ragione che nulla è perfetto collettività nazionale o sociale cui appartiene -risponda ad ogni latitudine e longitudine del pianeta alle stesse categorie ben descritte da un grande italiano e profondo conoscitore dell’animo umano, come ha dimostrato di esserlo nel romanzo “Il giorno della civetta”: Leonardo Sciascia. Personalmente ho conosciuto anch’io e conosco persone che, indipendentemente dal sesso, dalla nazionalità, dai titoli, dai gradi, dalle uniformi o dalle toghe indossate, dalla religione e dal colore della pelle o della militanza politica, appartengono ad una delle cinque categorie in cui Sciascia -per bocca del capo mafia Mariano, che esprimeva il suo rispetto per il protagonista del romanzo, il capitano Bellodi -divideva l’umanità: «Io ho una certa a questo mondo. Riconoscendo serenamente che assieme ai tanti pregi del nostro popolo -che lo rendono unico al mondo in tante cose positive – vi sono alcuni difetti “genetici” collettivi, e contraddizioni che solo se conosciuti si possono correggere e superare. Difetti legati ad un “DNA” sociale, politico, istituzionale e organizzativo alquanto diluito e annacquato nel corso dei secoli, rispetto a quello degli antichi romani, che consideriamo nostri progenitori, e che non sembra invece essere troppo diverso da quello degli abitanti della Penisola ai tempi di Dante che, nel celebre Canto sesto del Purgatorio, così duramente descriveva: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!” Non c’è invece alcun dubbio che, sul piano individuale, gli italiani sappiano esprimere eccellenze che sono pilastri della storia, dell’arte, della cultura e della scienza mondiale, anche contemporanea. Così come per mia esperienza personale, ritengo che l’essere umano, a livello individuale -al di fuori cioé della pratica del mon do; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo” Nella speranza, che nutre sempre l’ottimismo, il mio migliore auspicio per le nostre due patrie (l’Italia e l’Europa unita) è quindi che i risultati delle elezioni europee appena concluse portino ai vertici delle istituzioni UE (e nazionali, quando possibile) se non unicamente degli “uomini”, almeno non dei “quaquaraquà”. Come si usa dire: “abbiamo già dato”.

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