di Fabio Morabito
All’attacco. Mostrando i muscoli. In fondo, la strategia del premier britannico Boris Johnson è piuttosto trasparente. E in qualche modo lo ha anche confessato, quando in Parlamento si è trovato spalle al muro e ha chiesto di non essere indebolito. E lo ha dichiarato esplicitamente parlando con il Mail on Sunday, paragonando la Gran Bretagna a un personaggio dei fumetti che si trasforma diventando fortissimo (oltre che tutto verde), l’incredibile Hulk.
«Più Hulk s’arrabbia, più diventa forte e non importa quanto sembri legato stretto, ma ne esce sempre, ed è il caso di questo Paese» ha detto il primo ministro. Aggiungendo poi di essere «molto fiducioso» sulla possibilità di ottenere un accordo condiviso con l’Unione europea al vertice del 17 ottobre.
Il calendario è stretto e sta diventando veloce per la Brexit: il 31 ottobre scade la proroga della proroga, e se non ci sarà ulteriore clemenza la Gran Bretagna è fuori dall’Unione a meno che non chieda l’ennesimo rinvio. Anche se per farlo Hulk dovrebbe mortificarsi, altro che mostrare i muscoli e diventare tutto verde. Ma Boris-Hulk ha già detto: mai e poi mai, non ci sarà un altro giorno in Europa dopo il 31 ottobre.
Davvero sarà così terribile la Brexit? La sentenza delle prime conseguenze potrebbe non essere immediata. C’è di mezzo prima di tutto la pace d’Irlanda – fondata su un equiibrio molto delicato – che potrebbe compromettersi. L’Irlanda del Nord, capitale Belfast, fa parte della Gran Bretagna (con Inghilterra, Scozia, Galles). L’altra Irlanda, con capitale Dublino, è nazione indipendente e fa parte dell’Unione europea.
Sull’economia parleranno (anche) i mercati. Bisognerà vedere come la Gran Bretagna si riposizionerà, se funzionerà l’Asse con gli Stati Uniti. Ma Donald Trump, prima favorevolissimo allo spacchettamento dell’Unione europea, già guarda – e lo si vede dagli avvicendamenti nei posti chiave dell’Amministrazione alla Casa Bianca – in modo diverso al Vecchio continente: unito potrebbe essere un alleato più forte per rallentare l’ascesa della Cina. E la Gran Bretagna, a questo punto, potrebbe diventare solo un ex Impero e con le esportazioni salvate dalla svalutazione della sterlina.
Fatto è che Boris Johnson ha voluto fare l’Hulk soprattutto in Patria. L’accordo da trovare non c’è, gli dicono a Bruxelles, perché il negoziato è già concluso e non si riapre, sottoscritto da chi l’ha preceduto a capo del governo britannico, Theresa May. Ma Theresa May si è visto respingere dal voto del Parlamento, per tre volte, l’intesa. Non avendo più margini di trattativa, isolata nel suo stesso Partito conservatore, si è dovuta dimettere. È subentrato Johnson con tutt’altro piglio.
Aggressivo, confermandosi subito convinto – ora da premier – che Londra è pronta a uscire anche senza accordo. Non gli manca l’arroganza, ma questa è stata imputata anche a Theresa May, che si era rivolta a Jeremy Corbyn, l’anziano leader dei laburisti, per pensare a un piano comune, solo dopo le tre bocciature del suo piano in Parlamento.
Troppo tardi. Johnson al suo posto ha solo inasprito i toni, irridendo al suo avversario laburista. Ma l’arroganza ha incartato anche l’ex sindaco di Londra che si sente Hulk. Perché ha giocato duro con il Parlamento, e allora il Parlamento ha giocato duro con lui.
Cosa ha fatto Boris Johnson? Ha chiesto di chiudere la sessione in corso della Camera dei Comuni, e poteva farlo (per motivi di legittimità, non politici), per aprirne una nuova. Ma addirittura la richiesta è stata di cinque settimane (proprio mentre si avvicinava la data – per ora – ultimativa del 31 ottobre), e una pausa così lunga non si era vista nel Regno dai tempi della guerra civile.
La richiesta è stata accettata dalla Regina Elisabetta non senza che fuori dal Palazzo prendesse corpo qualche polemica. Perché non si è opposta, potendolo fare? Per consuetudine, per protocollo. Insomma, Johnson ha mandato i deputati in vacanza nel periodo più cruciale.
Per avere mano libera, è quello che è apparso evidente a tutti. Ma i laburisti, con gli altri scampoli d’opposizione, sono riusciti a far approvare una legge contro “la Brexit senza accordo” prima delle chiusura del Parlamento, fissata in calendario l’11 settembre scorso.
Se il 17 ottobre Londra non dovesse trovare una nuova intesa con Bruxelles non potrebbe comunque uscire senza accordo.
Tempo due giorni (il 19 ottobre), il premier sarà infatti tenuto a chiedere un altro rinvio all’Unione europea.
Lo dice la nuova legge. Ma vedremo se sarà così. Johnson ha già fatto capire che lui – se Bruxelles non si dovesse convincere a condizioni più favorevoli per Londra – forzerà lo stesso la mano con il “no deal”. Non lo farà, rischia il carcere.
Il “no deal”, il mancato accordo, è un baratro drammatizzato da molti economisti (e anche dalla Banca d’Inghilterra), che ha spaventato gli stessi britannici tra i quali – secondo la stampa nazionale- c’è chi avrebbe già fatto provviste di cibo e medicinali.
C’è un dossier del governo che era riservato ed è finito sui giornali, sugli scenari immaginati per il mancato accordo: alcuni medicinali introvabili, carburante contingentato, file di chilometri all’Eurotunnel che attraversa la Manica, e un’altra lunga serie di emergenze.
Ma ecco un altro colpo di scena. Appena due settimane dopo la chiusura delle Camere, è la Corte Suprema a mettere alle corde il premier.
All’unanimità, dichiara illegittima la decisione: “Non siamo riusciti a trovare una giustificazione legale e non politica”, dicono i giudici.
Il Parlamento riapre. Johnson è di nuovo sull’ottovolante. Gli chiedono le dimissioni ma lui non ci pensa nemmeno. Secondo l’Indipendent la Regina Elisabetta avrebbe chiesto un parere legale per cacciarlo. Ma poi lo lascia al suo posto. Possibile che la Regina, a 93 anni, si preoccupi tanto di Johnson? Possibile, perché è stato lui a coinvolgerla in una decisione – la sospensione del Parlamento – poi risultata illegittima.
Ma Boris non sta pensando solo alle feste e alle convention dei Conservatori dove si presenta a ritmo indiavolato per arringare i presenti al grido di: “Usciremo dalla Ue senza se e senza ma”. Con l’Irlanda del Nord ci sarebbe già un’intesa. Sarebbe lasciata sotto i regolamenti del mercato unico europeo, per manufatti e alimentari per almeno quattro anni, o fino al 2025. Potrebbe bastare? Verrà il momento in cui Hulk capirà che l’Impero britannico appartiene al passato.
Fabio Morabito