di Fabio Morabito
Nell’arco di quindici giorni, sul tema del cosiddetto ergastolo “ostativo” dopo la decisione della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo si è pronunciata anche la Corte Costituzionale italiana. Ma si tratta di due sentenze diverse su casi diversi. Con conseguenze anche queste diverse. E la decisione della Consulta non ha giudicato anticostituzionale una norma – l’articolo 4bis dell’Ordinamento penitenziario – ma solo una sua parte, quella relativa ai permessi premio, che ora possono – su decisione del magistrato di sorveglianza che valuterà caso per caso – essere concessi anche a quei detenuti mafiosi condannati al carcere a vita, e che si sono rifiutati di collaborare con la giustizia.
“Ostativo” è il rafforzativo di un sostantivo, l’ergastolo, che significa carcere a vita, il “fine pena mai”. Ma l’ergastolo può essere attenuato con i permessi premio, con le misure alternative della detenzione come la semilibertà, ma anche concludersi con la libertà anticipata. L’ergastolo ostativo no: ha solo due spiragli, la scarcerazione per gravi problemi di salute e la grazia del Presidente della Repubblica.
La Cedu di Strasburgo si era già espressa dando ragione a un boss della ‘ndrangheta, Marcello Viola, nel giugno scorso, questa volta riguardo a tutti i benefici possibili in caso di ergastolo “semplice”. E poi l’8 ottobre ha respinto come “inammissibile” il ricorso dello Stato italiano e quindi la sua sentenza è diventata definitiva. I legali di Viola si erano rivolti a Strasburgo perché dichiarasse illegittima la legge – introdotta dopo le stragi del 1992 che uccisero in Sicilia Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte – che consentiva di infliggere l’ergastolo “ostativo” in casi di grave pericolosità sociale, che poi sono principalmente reati di mafia o terrorismo.
Il detenuto poteva evitare questo percorso cieco con un solo modo: diventando collaboratore di giustizia. E se non è in grado di collaborare? Non importa, il 4bis stabilisce che i benefici di legge “possono essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”.
Questa sentenza della Consulta ritiene quindi di fatto che la mancanza di collaborazione escluda di per sé la “rieducazione” del carcerato. Il caso di scuola è quello di chi non collabora per paura di mettere a repentaglio la vita dei familiari. L’ergastolo ostativo, per tutti i giuristi e i magistrati che ne sostengono l’efficacia, è la vera arma per combattere la mafia. Per questo il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si è allarmato e ha fatto sapere, subito dopo che era stata resa nota la sentenza della Corte costituzionale (il 23 ottobre scorso) che “la questione ha la massima priorità” per gli uffici tecnici del suo dicastero, perché il sistema di deterrenza alla mafia non sia smontato.
La Consulta ha giudicato su due casi diversi da quello di Viola, il capocosca che ha scelto di interpellare Strasburgo. Il ricorso stavolta è stato fatto da due mafiosi che non hanno mai collaborato. Hanno solo chiesto dei permessi premio che non sono stati loro concessi perché era la legge a non consentirli. Ora questo impedimento della legge non esiste più, ma solo per i permessi premio, perché solo su questo la Consulta è stata chiamata a decidere. Resta in vigore – per ora – l’esclusione dagli altri benefici di legge. La Consulta ha seguito nella sostanza la linea indicata da Strasburgo. Questo vuol dire che la sentenza europea ha orientato la decisione dei nostri giudici? È possibile, ma la linea della Corte costituzionale non era comunque difficile da immaginare. Infatti, ben tre suoi presidenti emeriti (Valerio Onida, Giovanni Maria Flick e Gaetano Silvestri) si erano già espressi contro l’ergastolo ostativo. È inevitabile che la legge debba essere ricalibrata, se la la si vuole conservare come arma contro mafia, camorra e ‘ndrangheta. Ma nel frattempo i due mafiosi che hanno vinto la causa, e che sono ancora detenuti, non potranno andare in permesso premio se il magistrato di sorveglianza non deciderà in questo senso. La Consulta avrà pure aperto una porta, ma è lo spazio di uno spiraglio. Per ora.