di Sergio Mattarella
(Quello che segue, tolti i saluti di rito, è il discorso che il Presidente della Repubblica Mattarella ha fatto ai diplomatici dei Paesi esteri in Italia in occasione della cerimonia di auguri, il 16 dicembre scorso al Quirinale).
L’anno che si va chiudendo ha riproposto, in forma sempre più pressante, alcuni interrogativi ai quali la comunità internazionale fatica a fornire risposte convincenti, adeguate alla natura delle sfide che la condizione odierna dell’umanità presenta.
Al tempo stesso conflitti e tensioni alimentano una crescente instabilità minando la capacità di efficace cooperazione. L’ordine internazionale, fondato sulle macerie delle esperienze dolorose del ‘900, segna il passo, con l’affacciarsi di una tendenza alla inversione della gerarchia tra valori universali e pretesi “interessi” nazionali. Il risultato, paradossale, è quello dell’affievolimento di una “ governance” mondiale, malgrado ci si trovi a fronte di un processo di globalizzazione sempre più intenso, con i suoi effetti, profondi ed evidenti, di natura non soltanto economica ma anche sociale e culturale. La difficoltà di gestione di questa fase di accentuata interdipendenza anziché indurre, come dovrebbe, a una seria riflessione su come affrontarla insieme, provoca fenomeni di “rigetto”, prese di distanza e illusoria fiducia nella possibilità di rifugiarsi nella protezione solitaria delle proprie comunità; tutto questo in presenza di fenomeni di dimensione planetaria. In primo luogo occorre evidenziare la diffusa presa di coscienza riguardo l’esigenza di difendere l’ambiente, anche sulla spinta di un movimento giovanile straordinariamente vivace ed esteso. Una presa di coscienza che deve tradursi ora in convinta e concreta operatività.
Mai – dalla firma dell’Accordo di Parigi ad oggi – l’attenzione della comunità internazionale, dei media, delle associazioni come di singoli individui riguardo la “salute” del nostro pianeta è stata così viva. La COP 25, appena conclusa, rappresenta, purtroppo, un esempio di quanta strada debba ancora percorrere la consapevolezza della necessità di salvaguardare il pianeta.
Tuttavia, anche se, a livello internazionale, convivono sensibilità diverse – come il mancato accordo di Madrid testimonia – la centralità del tema della transizione ecologica, equilibrata e sostenibile, appare ormai un dato ineluttabile e condizionante delle relazioni internazionali. Il proposito dell’Unione Europea di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 – che l’Italia sostiene con vigore – rappresenta uno sviluppo pienamente in linea con questa presa di coscienza e questo senso di urgenza, con l’aspirazione a divenire riferimento per buone pratiche. In secondo luogo le elezioni per il Parlamento Europeo, tenutesi nel luglio scorso, hanno registrato una partecipazione mai avvenuta in precedenza e una campagna elettorale che ha toccato, per la prima volta, in maniera diretta il rapporto fra cittadini e istituzioni europee. In uno scenario internazionale sempre più frammentato l’Unione rappresenta un punto di equilibrio e l’ancoraggio a valori che vedono al centro la dignità della persona, garanzie di diritto e certezze di tutele.
Esercitare tale ruolo presuppone acuta consapevolezza di come all’Unione Europea tocchi in sorte, in questa congiuntura, di presidiare con fermezza le ragioni di un multilateralismo equo e solidale, a vantaggio della crescita di tutti i popoli del mondo. Occorre il coraggio di una visione nella quale i singoli Paesi prendano consapevolezza che soltanto insieme si possono raggiungere obiettivi più alti, con benefici per tutti. Il ciclo istituzionale appena avviato rappresenterà un banco di prova del livello d’ambizione dell’Unione europea. A partire dal negoziato sul bilancio pluriennale, strumento di coesione e di vicinanza ai cittadini nonché di proiezione nel contesto mondiale. Il bilancio sostiene un progetto di integrazione del quale tutti i Paesi membri siamo stati, siamo e saremo beneficiari netti. Non è un esercizio tra chi contribuisce e chi riceve risorse ovvero fra est e ovest d’Europa. E non può mancare una politica esterna diretta, anzitutto, ai Paesi circostanti, con politiche di vicinato e pre-inclusione per aree che, come i Balcani occidentali, hanno da tempo avviato un percorso importante. L’Unione non potrà dirsi completata sinché ne saranno esclusi i Paesi dei Balcani occidentali.
La proposta di una Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta un passo nella giusta direzione. E’ importante che le istituzioni europee si interroghino con tenacia – a fronte dei passi avanti necessari sulla strada della integrazione – sulla opportunità di un cantiere che rafforzi la loro legittimazione democratica, con il coinvolgimento dei cittadini, dei corpi intermedi, dei Parlamenti nazionali. A maggior ragione ora che la decisione sovrana britannica rende Londra più lontana dall’Europa. Nel 1948, Alcide De Gasperi ammoniva che “contro la marcia delle forze istintive e irrazionali” l’unico antidoto è costruire una “solidarietà della ragione e del sentimento, della libertà e della giustizia, e infondere all’Europa unita quello spirito eroico di libertà e sacrificio che ha portato sempre la decisione nelle grandi ore della storia.” Una lezione che non cessa di essere attuale. I cittadini europei hanno il diritto di essere difesi e non travolti da eventi rispetto ai quali i singoli Paesi non potrebbero esercitare nessuna influenza significativa, a partire dai temi della sicurezza. In tal senso i passi che l’Unione ha mosso, con la convinta partecipazione dell’Italia, rafforzando i meccanismi che presiedono alla elaborazione di una politica estera e di sicurezza comune, muovendo, inoltre, attraverso la PESCO i primi passi nel campo della difesa, rappresentano una evoluzione coerente con l’obiettivo di far compiere all’Unione quel necessario “salto di qualità” che proprio la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrà favorire, a dieci anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Un “salto di qualità” complementare con l’Alleanza Atlantica che da settant’anni rimane garanzia di pace e di libertà. Un’alleanza che vorremmo sempre davvero strumento di solidarietà su tutti i versanti delle relazioni e in tutte le direzioni di strategia di sicurezza. Con concreta uguale attenzione nei confronti di tutte le minacce, anche quelle che – in termini di instabilità e terrorismo – continuano a provenire dal quadrante meridionale. Solidarietà politica e comune visione in vicende come quelle che coinvolgono da troppo tempo la Libia sono indispensabili e sarebbero sommamente giovevoli.
(…)Alleanza Atlantica e Unione Europea e, sul piano globale, Nazioni Unite, Agenzie Specializzate, Istituzioni Finanziarie, rappresentano il prodotto sofferto di una evoluzione progressiva dell’assetto internazionale. Un’evoluzione che, a partire dalle drammatiche esperienze del secolo scorso, ha consentito di sostituire gradualmente ai rapporti di forza la forza del diritto.
Il multilateralismo è la conseguenza naturale di questo progresso. È infatti grazie a un metodo che ha allontanato le relazioni internazionali da una logica di “somma zero” – in base alla quale per prevalere occorre che qualcun altro perda – che nei quasi 75 anni trascorsi dalla fine del secondo conflitto mondiale abbiamo costruito progressivamente una procedura di prevenzione dei conflitti, stimolando l’interazione fra soggetti, favorendo la creazione di ulteriori numerose istanze di collaborazione, anche non formali. Pensiamo al G7 e al G20, alle organizzazioni regionali africane, asiatiche, sudamericane, il cui scopo ultimo è proprio quello di migliorare la cooperazione sui grandi temi. L’indebolimento del sistema multilaterale e il parallelo sviluppo di diffuse tensioni devono destare allarme.
E recenti sviluppi nel Mediterraneo rafforzano questa preoccupazione, con dinamiche che trasferiscono i contrasti dal terreno politico a quello economico, a quello della gestione delle risorse naturali, e viceversa. Anche a voi – attenti osservatori delle relazioni internazionali – non sfuggirà, infatti, come sia diventato purtroppo uso corrente ricorrere al termine “guerra” per definire l’esistenza di un dissenso tra Stati, qualificandolo in vario modo: “guerra economica”, “guerra commerciale”, quasi ad attenuarne il significato. Al contrario, nulla affievolisce il significato del sostantivo “guerra” e ne risulta sottolineato il carattere nocivo di quei contrasti che rappresentano un rischio allarmante. In tale contesto due sviluppi destano specifica preoccupazione. In primo luogo il venir meno di strumenti posti a presidio del controllo degli armamenti, regimi istituiti per rendere l’intero pianeta un luogo, per tutti, più sicuro.
Il ritorno alla competizione militare, insieme alla virtuale assenza di iniziative atte a elaborare regole riguardanti il contenimento di armamenti sempre più micidiali, rappresenta per l’intera comunità internazionale un segnale di regressione storica, gravida di rischi. Tanto più quando la corsa alla militarizzazione sembra allargarsi ad ambiti, come lo spazio, l’Antartide o l’Artico, sin qui esclusi e dove, invece, la cura di tutti era indirizzata all’ampliamento comune dei campi di conoscenza dell’umanità, prefigurando un futuro più collaborativo.
Una involuzione che si registra anche su di un altro piano, quello della libertà dei traffici e del commercio, condizione fondamentale per una crescita economica e sociale che favorisca la pace fra i popoli. Il corretto operare dei meccanismi previsti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio rappresenta un traguardo di civiltà giuridica che consideravamo acquisito.
Dobbiamo notare che le difficoltà che si frappongono ora alla normale prosecuzione del funzionamento dei suoi organi giustificano interrogativi anche riguardo la validità che può essere riconosciuta alle decisioni assunte dal WTO nell’esercizio degli ultimi mandati. (…) Non si tratta di esaltare in astratto il multilateralismo quanto di riflettere sugli strumenti e le metodologie con le quali la comunità internazionale intende affrontare il destino dell’umanità.
Sono certo che dalla diplomazia, attività votata al dialogo, al mantenimento di fruttuose relazioni fra Stati, potranno venire spunti e riflessioni utili al consolidamento di un ordine internazionale che eviti di far ricadere negli errori di un tempo non lontano. È un invito, questo che estendo alle giovani leve della Farnesina per il futuro della loro attività professionale al servizio della Repubblica. Con questi auspici rinnovo a Voi tutti, alle Vostre famiglie, ai Paesi che rappresentate, i migliori auguri per le prossime festività e per un anno di pace.