di Carlotta Speranza
Vi ricordate Lorenzo Fioramonti, l’ex ministro italiano dell’Istruzione, che poi si è dimesso perché nella Legge di Bilancio di fine anno non c’erano abbastanza risorse per la scuola e l’università? Da docente di Economia aveva suggerito una serie di tasse in più che avrebbero dovuto colpire comportamenti alimentari poco virtuosi (“la tassa sulle merendine”) o inquinanti, come i voli aerei. Venne sbeffeggiato della opposizioni, poco compreso dalla maggioranza, ma poi la sua proposta aprì una strada alla “plastic tax”.
Contestata con lo spauracchio delle “aziende in ginocchio”, anche questa proposta ha avuto vita difficile ed è nata ridimensionata rispetto alle intenzioni iniziali. L’imposta doveva essere di 1 euro al chilo per la plastica monouso, e riguardare bottiglie e imballaggi (dalle buste per l’insalata e le vaschette per gli alimenti); poi per le divisioni nel governo è scesa a 45 centesimi, e rinviata al luglio di quest’anno. C’era in calendario il voto regionale in Emilia Romagna: ha poi vinto largamente Stefano Bonaccini del Pd, ma lo stesso candidato governatore si era mostrato preoccupato per la nuova tassa temendo che gli avrebbe fatto perdere consensi. Nella Regione ci sono molte delle imprese che producono le confezioni di plastica interessate alla stretta fiscale (si è calcolato 228 imprese con 17mila lavoratori). Ma davvero la nuova tassa avrebbe penalizzato questo settore? Probabilmente no, perché il comparto in ogni caso avrebbe dovuto adeguarsi alle direttive europee. E infatti ora la plastic tax (sotto varie forme già presente in tanti Stati dell’Unione) la vuole l’Europa. Una delle novità principali della proposta di quadro finanziario pluriennale, infatti, in linea con l’idea “verde” che la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen vuol dare alla sua consiliatura, è tassare la plastica non riciclata per finanziare direttamente il bilancio Ue.La previsione è di raccogliere sei miliardi di euro l’anno di nuove risorse. Naturalmente, non basterà solo questa misura. Come si sa, l’Unione europea è finanziata direttamente dagli Stati associati. Però i principali quattro gruppi dell’Europarlamento (popolari, socialisti, liberali e verdi) hanno scritto una lettera al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel perché solleciti l’aumento delle cosiddette “risorse proprie” (quelle cioè raccolte trasversalmente ai contributi dei singoli Stati). Queste “nuove risorse” dovrebbero finanziare “i programmi faro dell’Ue nei settori della gioventù, della ricerca e dell’innovazione, in materia di transizione ambientale e climatica, infrastrutture, digitalizzazione, diritti sociali, migrazione, azione esterna, sicurezza e difesa”.
Si tratta di un percorso obbligato, e forse non avrebbe fatto male alle imprese italiane imparare ad adeguarsi in anticipo. Come si comportano gli altri Paesi? In ordine sparso. In Germania la bottiglietta di plastica vale dagli 8 ai 25 centesimi (bisogna riportarla al negozio). La Francia pensa a una super-tassa del 10% sui contenitori di plastica non riciclata. La Finlandia tassa per 51 centesimi al chilo gli imballaggi e le bottigliette di plastica. La Gran Bretagna, in uscita dall’Europa, tasserà gli imballaggi dal 2022, se non sono almeno al 30% riciclati.