di Marta Fusaro
Italia, Spagna e Francia, non sono solo i Paesi più colpiti dal coronavirus in Europa. Sono anche quelli che hanno un’incidenza più importante del turismo come voce del Pil (il Prodotto interno lordo, la capacità cioè della Nazione di produrre ricchezza). E questo peraltro potrebbe non essere stato ininfluente sulla maggiore diffusione della malattia (il 2020 era stato promosso ufficialmente come l’anno turistico e culturale dell’amicizia Italia-Cina).
La Francia accoglie 86 milioni di turisti all’anno dall’estero ed è leader in questa classifica, ma è solo terza nell’Unione, dietro Spagna e Italia, nei numeri di pernottamenti (che vengono indicati come “presenze”). Questo significa che la Francia è la preferita per le vacanze brevi, la Spagna invece primeggia come numero di notti trascorse da stranieri: 301 milioni l’anno nel 2018. La Spagna attira 7 turisti su 10 dall’estero in sole tre mete: isole Canarie, isole Baleari, Catalogna. Spagna e Italia sono i due Paesi più danneggiati dalle misure prese per contrastare il coronavirus: il turismo arriva a incidere su oltre il 13% del Pil (e una percentuale di due punti maggiore nell’occupazione), e questa importante voce di entrata è ovviamente annullata dal divieto di spostarsi. Si tratta di una percentuale indicativa (per dare l’idea, in Germania il turismo incide sul 4,5% del Pil) anche perché i criteri sul valore effettivo della ricaduta economica in questo settore sono cospicui ma poco definiti: se le ricevute degli alberghi (più del costo dei viaggi, i cui benefici si dividono con il Paese di partenza e i vettori) sono un dato facile da individuare, non lo sono altrettanto le spese per ristorazione, shopping e culturali. Secondo i dati del Conto Satellite del Turismo (CST) – Istat, 100 euro di transazioni nel turismo ne generano ulteriori 86 in altri settori.
Ma ora le località turistiche sono in ginocchio, e decine di migliaia di alberghi, bar e ristoranti chiusi. La cassa integrazione darà respiro ai lavoratori del settore, ma molti di coloro che sono stati licenziati rischiano di restare a lungo senza occupazione. “Attualmente tutta la filiera turistica – sostiene una nota di Confturismo-Confcommercio Italia – dalla ricettività alla ristorazione, dai tour operator e agenzie di viaggio ai servizi di spiaggia, è ferma. E le previsioni fino a maggio indicano perdite di quasi 90 milioni di presenze di turisti tra italiani e stranieri con oltre 500mila stagionali a rischio”.
Gli italiani che ospitano molti turisti e su questo guadagnano, spendono però anche tanto per viaggiare, e su questa voce di “uscita” certamente la nostra bilancia dei pagamenti risparmierà. Saranno in tanti che faranno per una scelta “autarchica”, cioè di passare la vacanze in Patria, e non di mettersi a rischio con viaggi in mete distanti o addirittura esotiche: un po’ perché si profila un’estate all’insegna del risparmio, un po’ perché le conseguenze dell’emergenza coronavirus avranno una “coda lunga” che scoraggeranno lo stress e l’incognita di lunghi viaggi, quando non sono necessari. E saranno le stesse misure di sicurezza adottate, se non la scelta dei singoli Stati, a suggerire di non allontanarsi troppo. Se per l’Italia il discorso è ancora teorico, legato alla probabilità degli spostamenti dei viaggiatori, in Spagna si sta infatti addirittura ipotizzando di chiudere le frontiere ai turisti stranieri per decreto. Il piano spagnolo, in corso di discussione, è stato rivelato dal quotidiano locale Abc. Prevede di potenziare il turismo interno sia pure vincolato ad alcune misure di sicurezza, come indossare mascherine protettive quando si usano trasporti pubblici, e come il mantenimento delle distanze perfino nelle spiagge (con incentivi per indirizzare l’afflusso nelle aree meno note). In Italia, invece, le proposte delle organizzazioni di settore sono per ora modulate sulle agevolazioni fiscali e detraibilità delle spese per la vacanze di almeno tre giorni. Non sarà facile un rilancio, non solo per le difficoltà economiche, non solo per le incertezze sull’estate. Anche perché molti italiani hanno consumato le ferie dal lavoro durante la quarantena, incentivati in questo dalle loro aziende. Ma la riapertura delle spiagge è in programma e sulle vacanze al mare la sottosegretaria alla Cultura e turismo Lorenza Bonaccorsi si è già espressa: “Andremo al mare quest’estate. Stiamo lavorando per far sì che possa essere così”. Il sindacato balneari di Confcommercio chiede un’ordinanza del ministero della Salute che dia indicazioni nazionali agli stabilimenti concordate con i gestori. Sembra già assodato che gli ombrelloni saranno distanziati e diventeranno aree-famiglie. Probabilmente sarà obbligatoria la prenotazione. E i bagni si potranno fare? I virologi tranquillizzano: il virus in acqua muore. Dall’Emilia – un’azienda modenese – c’è già una proposta tra l’innovativo e lo strampalato (pareti in plexiglass che dividerebbe come dei box ogni ombrellone con due lettini) che ha suscitato già molta curiosità nel tam-tam dei social media. Ma i balneatori romagnoli hanno reagito indignati. Più probabile che si approveranno altre misure restrittive, come l’abolizione delle aree comuni, o i giochi in spiaggia. Il tuffo in mare, proprio perché anti-contagio, sarà permesso.
Da una località di mare, Pollica- Acciaroli, nel Cilento, il sindacato Stefano Pisani ha proposto gli “Holiday Bond”, che non sono altro che voucher acquistabili a prezzi ridotti e spendibili per le vacanze future. Entreranno in vigore alla riapertura delle strutture, fino a dicembre del 2022. Pisani vorrebbe che fossero scalabili dalla denuncia dei redditi. Anche in Germania si stanno studiando dei coupon per le vacanze. Anche se poi la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, frena anche l’entusiasmo che non c’è: “Consiglio di aspettare a prenotare le vacanze estive. Per luglio e agosto attualmente nessuno può fare previsioni affidabili” ha detto, in sostanza, in un’intervista uscita a Pasqua sul Bild. Un messaggio poco prudente perché il settore del turismo non si può permettere di ripartire senza prenotazioni, e certo saranno gli stessi albergatori a garantire il rimborso di un soggiorno che dovesse essere annullato a causa di una ripresa dell’emergenza pandemica. Con il turismo in montagna sarà più facile mantenere le distanze, ma il mare sembra partire in vantaggio anche per le temperature più calde. Un’analisi del 19 marzo effettuata dal Mit di Boston su dati raccolti dalla Johns Hopkins University avrebbe appurato che la stragrande maggioranza dei contagi sarebbe avvenuta in regioni con temperature medie dai 3 ai 13 gradi. Sopra i 18 gradi si sarebbe verificato un caso su venti (e questo potrebbe far pensare all’Italia colpita al Nord e molto meno al Sud, e all’Africa che – fortunatamente, considerando la sua povertà anche di strutture sanitarie – finora è stata risparmiata dal virus). Naturalmente le concause dei focolai sono diverse, e anche casuali: ma sono diversi i segnali – prudenti – che fanno sperare in un’estate libera dal virus.
Poi c’è il turismo d’arte che si ragiona di salvare (in parte) con gli ingressi contingentati nei musei. Per Roma questa è una crisi nella crisi: sono almeno centomila i lavoratori del turismo nella capitale rimasti improvvisamente senza lavoro, e Federalberghi prevede che l’emergenza, nonostante le programmate riaperture, prolungherà i suoi effetti drammatici sul settore per un anno pieno. Sette turisti su dieci, a Roma, vengono dall’estero. È chiaro che servirà anche qui una strategia articolata, che punti più che a proteggere i grandi gruppi – già capaci di dare una risposta alla crisi – a tutelare le piccole imprese frammentate e distribuite nel territorio.