Ue, “quote latte” e crisi pandemica

di  Paolo Luigi Rebecchi

Occuparsi del problema delle “quote latte” in questo momento storico, nel quale il mondo intero è attraversato dalla più grave crisi sanitaria del dopoguerra appare un’attività di “archeologia giuridica”. Può tuttavia essere di interesse riferire di alcune recenti decisioni della Corte di giustizia UE che si sono occupate della materia. Infatti parallelamente alla crisi pandemica da Covid 19 (“Coronavirus”) si sta innescando una crisi economico finanziaria in Italia ma anche nel resto d’Europa (per limitarci al nostro continente), per il cui contrasto sono state adottate misure finanziarie eccezionali che hanno, almeno temporaneamente, scardinato gli stessi principi regolatori dei rapporti finanziari ed economici fra gli Stati membri (in particolare sospensione del “patto di stabilità e crescita”, intervento “illimitato” della banca centrale europea a sostegno dei debiti pubblici). Tali interventi sono tuttavia ancora insufficienti e la situazione richiede misure eccezionali che, se non tempestivamente adottate, porranno seriamente in crisi le stesse ragioni di esistenza dell’Unione, come affermato oltre che da economisti e commentatori, dagli stessi vertici istituzionali di numerosi Paesi europei (ma non di tutti). Richiamare il caso “quote latte”, significa ricordare una vicenda che , almeno in Italia, si pose come primo rilevante momento di crisi di rapporti fra Italia ed Unione e segnò una prima frattura fra una parte del mondo agricolo italiano e il sistema regolativo comunitario, con conseguenze anche a livello politico nazionale, segnando la nascita di correnti di opinione nettamente avverse alle politiche europee che hanno trovato sempre maggiore alimento, fino a giungere alla espansione dell’insoddisfazione a fronte della diversità di approccio da parte di alcuni Paesi all’attuale gravissima crisi economico finanziaria. Il regime delle c.d. “quote latte” venne istituito con il regolamento comunitario n. 856/1984 del 31 marzo 1984, poi sostituito dal regolamento n. 3950/92 del 28 dicembre 1992 e, quindi, dal regolamento n. 1788/2003 del 29 settembre 2003. Lo scopo della regolamentazione era stato ravvisato in un’esigenza di contingentamento della produzione, volta a regolare l’offerta disincentivando gli allevatori a produrre oltre limiti prefissati.

Lo sforamento delle soglie prefissate aveva determinato l’insorgenza di un obbligo di versamento del c.d. “prelievo supplementare”, ovvero un prelievo finanziario dovuto per ogni chilogrammo di latte prodotto in eccedenza rispetto al quantitativo individuale di riferimento assegnato ai singoli conferenti. In tale assetto regolamentare si poneva la figura del “primo acquirente”, soggetto economico la cui qualifica era attribuita con provvedimento adottato dai singoli Stati (in Italia le amministrazioni regionali) facoltizzato ad acquistare latte bovino direttamente dalle aziende agricole che lo producevano ed avente l’obbligo di trattenere mensilmente il prelievo supplementare dovuto dai produttori “oltre quota” e di versarlo all’ agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura entro il mese successivo (Reg. CE n. 1788/2003 e art. 24 reg. CE n. 595/2004 e disciplina nazionale, art. 5 del d.l. n. 49/2003, conv. con L. n. 119/2003). L’articolo 3 del citato regolamento CE 1788/2003 sanciva in ambito europeo una responsabilità diretta degli Stati membri per il mancato versamento del prelievo supplementare: essi erano considerati debitori principali nei confronti della Comunità Europea per l’importo del prelievo dovuto a livello nazionale, relativamente ai singoli periodi di produzione. Se detto versamento non veniva effettuato entro la data fissata, la Commissione deduceva una somma equivalente al prelievo non pagato dagli anticipi mensili sull’imputazione delle spese effettuate dallo Stato membro in questione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1 e dell’articolo 7, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1258/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, relativo al finanziamento della politica agricola comune. (in sostanza una decurtazione dei fondi Feoga).

Il sistema “quote latte” è stato poi oggetto di vari ed ulteriori interventi normativi nazionali (leggi n. 33/09 e 91/2015) ed è stato definitivamente abolito con decisione comunitaria dell’aprile 2015. Una esemplificazione di tale “rapporto critico” con detto sistema si ricava dalla sentenza della Corte di giustizia, IV sezione, del 24 gennaio 2018, causa C-433/15, Commissione/Italia, che ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia avendo essa omesso di garantire che il prelievo supplementare (di importo oscillante fra euro 1,3 miliardi di euro secondo la Commissione ed euro 827 milioni secondo l’Italia) dovuto per la produzione realizzata in Italia in eccesso rispetto al livello della quota nazionale, a partire dalla prima campagna di effettiva imposizione del prelievo supplementare in Italia (1995/1996) e sino all’ultima campagna nella quale in Italia è stata accertata una produzione in eccesso (2008/2009), fosse effettivamente addebitato ai singoli produttori che avevano contribuito a ciascun superamento di produzione, nonché fosse tempestivamente pagato, previa notifica dell’importo dovuto, dall’acquirente o dal produttore, in caso di vendite dirette, ovvero qualora non pagato nei termini previsti, fosse iscritto a ruolo ed eventualmente riscosso coattivamente presso gli stessi acquirenti o produttori, venendo così meno agli obblighi ad essa incombenti in forza delle disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alle campagne interessate. Una più recente sentenza della stessa Corte di giustizia, è stata adottata l’11 settembre 2019, in causa C46/18, in sede di rinvio pregiudiziale, ha deciso su alcune questioni proposte nell’ambito di una controversia pendente presso il consiglio di Stato tra un caseificio sociale costituto in società cooperativa, in qualità di “primo acquirente” e alcuni produttori di latte italiani, da un lato, e l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura e la regione Veneto dall’altro, in merito alle quote latte e al prelievo supplementare per il periodo di commercializzazione del latte e dei latticini tra il 1° aprile 2003 e il 31 marzo 2004. La sentenza, tra l’altro, ha precisato gli obblighi di riversamento previsti nel regolamento n. 3950/92 sottolineando che la procedura di riscossione del prelievo supplementare si fonda sulla distinzione tra le vendite dirette di latte al consumo e le consegne di latte fatte ad un acquirente (Corte di giustizia sent. 15 gennaio 2004, Penycoed, c-230/1). In tal modo (cfr. cfr. anche sentenze del 25 marzo 2004, Cooperativa Lattepiù e a., C231/00, C303/00 e C451/00 e del 24 gennaio 2018, Commissione/ Italia, C433/15) la normativa nazionale che disciplina le modalità di riscossione del prelievo supplementare da parte dell’acquirente presso i produttori non può liberare questi ultimi dall’onere del prelievo in questione che è loro imposto, precisandosi che “…l’acquirente deve poter riscuotere gli importi dai produttori «con ogni mezzo appropriato», conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di detto regolamento…”.

Paolo Luigi Rebecchi

Occuparsi del problema delle “quote latte” in questo momento storico, nel quale il mondo intero è attraversato dalla più grave crisi sanitaria del dopoguerra appare un’attività di “archeologia giuridica”. Può tuttavia essere di interesse riferire di alcune recenti decisioni della Corte di giustizia UE che si sono occupate della materia. Infatti parallelamente alla crisi pandemica da Covid 19 (“Coronavirus”) si sta innescando una crisi economico finanziaria in Italia ma anche nel resto d’Europa (per limitarci al nostro continente), per il cui contrasto sono state adottate misure finanziarie eccezionali che hanno, almeno temporaneamente, scardinato gli stessi principi regolatori dei rapporti finanziari ed economici fra gli Stati membri (in particolare sospensione del “patto di stabilità e crescita”, intervento “illimitato” della banca centrale europea a sostegno dei debiti pubblici). Tali interventi sono tuttavia ancora insufficienti e la situazione richiede misure eccezionali che, se non tempestivamente adottate, porranno seriamente in crisi le stesse ragioni di esistenza dell’Unione, come affermato oltre che da economisti e commentatori, dagli stessi vertici istituzionali di numerosi Paesi europei (ma non di tutti). Richiamare il caso “quote latte”, significa ricordare una vicenda che , almeno in Italia, si pose come primo rilevante momento di crisi di rapporti fra Italia ed Unione e segnò una prima frattura fra una parte del mondo agricolo italiano e il sistema regolativo comunitario, con conseguenze anche a livello politico nazionale, segnando la nascita di correnti di opinione nettamente avverse alle politiche europee che hanno trovato sempre maggiore alimento, fino a giungere alla espansione dell’insoddisfazione a fronte della diversità di approccio da parte di alcuni Paesi all’attuale gravissima crisi economico finanziaria. Il regime delle c.d. “quote latte” venne istituito con il regolamento comunitario n. 856/1984 del 31 marzo 1984, poi sostituito dal regolamento n. 3950/92 del 28 dicembre 1992 e, quindi, dal regolamento n. 1788/2003 del 29 settembre 2003. Lo scopo della regolamentazione era stato ravvisato in un’esigenza di contingentamento della produzione, volta a regolare l’offerta disincentivando gli allevatori a produrre oltre limiti prefissati.

Lo sforamento delle soglie prefissate aveva determinato l’insorgenza di un obbligo di versamento del c.d. “prelievo supplementare”, ovvero un prelievo finanziario dovuto per ogni chilogrammo di latte prodotto in eccedenza rispetto al quantitativo individuale di riferimento assegnato ai singoli conferenti. In tale assetto regolamentare si poneva la figura del “primo acquirente”, soggetto economico la cui qualifica era attribuita con provvedimento adottato dai singoli Stati (in Italia le amministrazioni regionali) facoltizzato ad acquistare latte bovino direttamente dalle aziende agricole che lo producevano ed avente l’obbligo di trattenere mensilmente il prelievo supplementare dovuto dai produttori “oltre quota” e di versarlo all’ agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura entro il mese successivo (Reg. CE n. 1788/2003 e art. 24 reg. CE n. 595/2004 e disciplina nazionale, art. 5 del d.l. n. 49/2003, conv. con L. n. 119/2003). L’articolo 3 del citato regolamento CE 1788/2003 sanciva in ambito europeo una responsabilità diretta degli Stati membri per il mancato versamento del prelievo supplementare: essi erano considerati debitori principali nei confronti della Comunità Europea per l’importo del prelievo dovuto a livello nazionale, relativamente ai singoli periodi di produzione. Se detto versamento non veniva effettuato entro la data fissata, la Commissione deduceva una somma equivalente al prelievo non pagato dagli anticipi mensili sull’imputazione delle spese effettuate dallo Stato membro in questione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1 e dell’articolo 7, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1258/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, relativo al finanziamento della politica agricola comune. (in sostanza una decurtazione dei fondi Feoga).

Il sistema “quote latte” è stato poi oggetto di vari ed ulteriori interventi normativi nazionali (leggi n. 33/09 e 91/2015) ed è stato definitivamente abolito con decisione comunitaria dell’aprile 2015. Una esemplificazione di tale “rapporto critico” con detto sistema si ricava dalla sentenza della Corte di giustizia, IV sezione, del 24 gennaio 2018, causa C-433/15, Commissione/Italia, che ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia avendo essa omesso di garantire che il prelievo supplementare (di importo oscillante fra euro 1,3 miliardi di euro secondo la Commissione ed euro 827 milioni secondo l’Italia) dovuto per la produzione realizzata in Italia in eccesso rispetto al livello della quota nazionale, a partire dalla prima campagna di effettiva imposizione del prelievo supplementare in Italia (1995/1996) e sino all’ultima campagna nella quale in Italia è stata accertata una produzione in eccesso (2008/2009), fosse effettivamente addebitato ai singoli produttori che avevano contribuito a ciascun superamento di produzione, nonché fosse tempestivamente pagato, previa notifica dell’importo dovuto, dall’acquirente o dal produttore, in caso di vendite dirette, ovvero qualora non pagato nei termini previsti, fosse iscritto a ruolo ed eventualmente riscosso coattivamente presso gli stessi acquirenti o produttori, venendo così meno agli obblighi ad essa incombenti in forza delle disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alle campagne interessate. Una più recente sentenza della stessa Corte di giustizia, è stata adottata l’11 settembre 2019, in causa C46/18, in sede di rinvio pregiudiziale, ha deciso su alcune questioni proposte nell’ambito di una controversia pendente presso il consiglio di Stato tra un caseificio sociale costituto in società cooperativa, in qualità di “primo acquirente” e alcuni produttori di latte italiani, da un lato, e l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura e la regione Veneto dall’altro, in merito alle quote latte e al prelievo supplementare per il periodo di commercializzazione del latte e dei latticini tra il 1° aprile 2003 e il 31 marzo 2004. La sentenza, tra l’altro, ha precisato gli obblighi di riversamento previsti nel regolamento n. 3950/92 sottolineando che la procedura di riscossione del prelievo supplementare si fonda sulla distinzione tra le vendite dirette di latte al consumo e le consegne di latte fatte ad un acquirente (Corte di giustizia sent. 15 gennaio 2004, Penycoed, c-230/1). In tal modo (cfr. cfr. anche sentenze del 25 marzo 2004, Cooperativa Lattepiù e a., C231/00, C303/00 e C451/00 e del 24 gennaio 2018, Commissione/ Italia, C433/15) la normativa nazionale che disciplina le modalità di riscossione del prelievo supplementare da parte dell’acquirente presso i produttori non può liberare questi ultimi dall’onere del prelievo in questione che è loro imposto, precisandosi che “…l’acquirente deve poter riscuotere gli importi dai produttori «con ogni mezzo appropriato», conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di detto regolamento…”.

 

 

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