di Monica Frida
Non è certo il leader europeo più simpatico, e nella politica interna ha dovuto incassare un calo di popolarità importante con contestazioni costanti come dimostrano gli ennesimi disordini nelle periferie parigine di questi giorni. Anche se non è un calo di consensi tale da compromettere il suo ruolo di favorito per la rielezione come Presidente della Repubblica francese, un traguardo che è sfuggito ai suoi più recenti precedessori.
Ma non si può dire che Emmanuel Macron nella politica estera non sia il più determinato e lucido capo di Stato europeo, più incisivo perfino di Angela Merkel, e capace di prendere posizioni difficili e di rottura. Molti ricorderanno la clamorosa uscita sulla Nato, definita in condizioni di “morte cerebrale”, ma anche altre sono state le sortite antidiplomatiche del Presidente francese.
Una di queste posizioni “difficili” che Macron non si è negato è quella sulla Cina. Con obbiettiva abilità: la Francia in questi anni ha fatto migliori affari con Pechino dell’Italia, che pure si è sbilanciata nei rapporti di amicizia sulla cosiddetta “via della seta”.
E nonostante questo è in Europa il principale avversario della Cina. E non da oggi. Già dall’esordio del “giovane Presidente” al Consiglio europeo (il primo a cui ha preso parte, nel giugno di tre anni fa). In quell’occasione Macron fece un discorso programmatico che sarebbe stata la linea chiara della sua politica futura, in cui l’asse portante era l’amicizia che voleva saldare con la Germania. Ma, a differenza di Berlino, pose subito un argine agli investimenti stranieri non europei nei settori strategici degli Stati dell’Unione. Intendeva naturalmente riferirsi alla Cina, toccando un punto chiave di vari interessi convergenti o contrapposti a Bruxelles, ma che nella sostanza si identificavano in un punto: non litighiamo con Pechino. La Germania fa ottimi affari con la Cina. I Paesi Bassi difendono strenuamente il libero scambio. L’Italia è capofila in alcuni settori, dal lusso alla moda, potenzialmente capaci di grande sviluppo sui mercati cinesi. La Grecia sta ricostruendo la sua economia anche grazie ai finanziamenti cinesi. E la Cina sta preparandosi a sorpassare nei prossimi anni gli Stati Uniti come prima potenza mondiale. Questo ruolo immediatamente di rottura portò a Macron pochi consensi, un rinvio della discussione, ma anche il riconoscimento di una capacità di rompere gli schemi in un’Unione europea in crisi d’identità. Contemporaneamente, il Presidente francese decise a conclusione dei lavori di tenere una conferenza stampa con Angela Merkel, segnale visibile della contemporanea saldatura di rapporti con Berlino. “Quando la Germania e la Francia parlano a una sola voce ha detto Macron in quell’occasione l’Europa può andare avanti. Non è solo un simbolo, è un’etica di lavoro”. Nessuno si esprimerebbe così, tra i tanti europei. È come un’autocertificazione che dice: ecco chi conta veramente in Europa. Non l’Unione, ma i due Paesi leader che nell’Unione ci vogliono restare, con la Gran Bretagna che aveva già intrapreso il sofferto cammino verso l’uscita. Anche se ancora oggi Londra resta nell’orbita diplomatica dell’Europa, con un’attenzione speciale a Parigi. Il Presidente francese non si è astenuto da frasi ad effetto. Nel gennaio di due anni fa, nella sua prima visita a Pechino, ha lanciato la sua sfida con parole abili: “Sono venuto a dirvi che l’Europa è tornata”. Ha saputo mantenere il ruolo di partner commerciale privilegiato e di principale avversario strategico. E progressivamente, alcuni principali attori in Europa hanno seguito Parigi nel pianificare paletti comuni all’espansionismo cinese. Con l’Italia tentata da mantenere un rapporto che vorrebbe privilegiato: ma quando Giuseppe Conte annunciò la chiusura dei voli con la
Cina pensando di bloccare così il contagio del coronavirus, vi fu una reazione piccata da Pechino, e fu il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a intervenire per ripristinare l’amichevole canale diplomatico. Ora la pandemia ha ancor di più incrinato la comoda complicità di interessi che avevano protetto i rapporti europei con Pechino.
Ad accendere la miccia è stato ancora una volta Macron, che con un’intervista al britannico Financial Times, ha sostenuto che in Cina sono successe “cose che non sappiamo”. E solo qualche giorno fa, il 20 aprile, anche la Cancelliera tedesca Angela
Merkel, che della cautela ha fatto una scienza, ha polemizzato con Pechino proprio sul delicato argomento della lotta alla pandemia. “Quanto più trasparente sarà la Cina per quanto riguarda l’origine del virus, tanto meglio sarà per tutti in tutto il mondo”. Un successo per la linea di Macron, che nel frattempo marca stretto Berlino, cercando di coordinare la “fase 2” dell’emergenza sanitaria, quella della ripartenza economica, proprio sulla Germania.
In questi giorni la Commissione europea ha dovuto reagire con forza a un attacco del prestigioso New York Times, che l’accusa di aver ammorbidito un report sulla disinformazione riguardo al virus, in seguito a pressioni di Pechino. Si tratta del testo prodotto dalla “EuVsDisinfo”, unità speciale di Bruxelles incaricata di monitorare le informazioni “fallate”. In effetti il testo dalla prima bozza alla stesura finale è cambiato. Nella prima versione si sostiene che “la Cina continua a condurre una campagna di disinformazione globale per sviare le accuse legate allo scoppio della pandemia”. Nel testo ufficiale si legge invece: “C’è la prova di una pressione coordinata da fonti ufficiali cinesi per sviare le accuse”. Un ritocco politico è frequente in documenti preparati da “tecnici” e la sostanza critica resta. Ma resta anche il nervosismo delle diplomazie contrapposte dal solco che Macron ha scavato nel tempo.