di Pierluigi Franz
Il Consiglio d’Europa attende dal Governo italiano e dal suo premier Giuseppe Conte un importante chiarimento ufficiale: è davvero ancora favorevole all’abolizione della pena detentiva (attualmente fino a sei anni di reclusione) per i giornalisti colpevoli di diffamazione a mezzo stampa, abolizione prevista da numerosi progetti di legge discussi dal Parlamento negli ultimi venti anni? Il chiarimento potrà essere fornito, se ritenuto opportuno, attraverso i consueti canali diplomatici, com’è previsto dalla procedura che regola la pubblicazione dei cosiddetti alerts (segnalazioni) sulla sua Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti per evidenziare in modo documentato comportamenti e fatti che possano apparire lesivi della libertà di stampa e comportare eventuali responsabilità di organi di uno dei suoi 47 Stati membri.
A determinare l’attenzione per le vicende italiane è stato l’alert formulato dall’Associazione dei Giornalisti Europei (AGE/AEJ) e pubblicato il 5 maggio scorso sulla Piattaforma. L’alert ha preso spunto dalla “memoria” depositata il 31 marzo presso la Corte Costituzionale dall’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Nelle quattro pagine del documento, firmate da due avvocati dello Stato (fatto abbastanza raro che avviene soprattutto per le grandi occasioni), Salvatore Faraci e Maurizio Greco, si afferma la legittimità dell’applicazione della pena del carcere nei confronti di un giornalista definitivamente condannato in sede penale per diffamazione a mezzo stampa. Secondo autorevoli giuristi ciò costituisce, però, un passo indietro rispetto agli impegni assunti dall’Italia sia in Parlamento, sia in sede internazionale. La segnalazione è stata inserita sulla Piattaforma come un preallarme di minaccia alla libertà di stampa di secondo livello, proveniente da un organismo dello Stato e tale da produrre un effetto raggelante sulla libertà di informazione. “La memoria dell’Avvocatura dello Stato – si legge sulla Piattaforma – segna un passo indietro rispetto ad una serie di iniziative legislative promosse alla Camera e al Senato per abolire la pena detentiva nei casi di diffamazione a mezzo stampa”. Si tratta dei progetti di legge in discussione dal 2001 in poi “in seguito a una forte pressione internazionale” e mai giunti all’approvazione definitiva. “La Corte europea dei diritti dell’uomo – ricorda la Piattaforma del Consiglio d’Europa – ha riscontrato che l’Italia ha violato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in merito al mantenimento delle leggi che consentono la pena detentiva per diffamazione, con la sentenza del 24 settembre 2013 relativa al giornalista Maurizio Belpietro contro Italia e, più recentemente, in quella relativa al giornalista Alessandro Sallusti contro Italia del 7 marzo 2019”.
“Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e l’associazione Ossigeno per l’Informazione – prosegue l’alert – hanno protestato perché il memorandum presentato alla Corte Costituzionale contraddice le passate assicurazioni dell’esecutivo di abrogare la legge che consente pene detentive; e la prospettiva di ulteriori ritardi ha un effetto raggelante (chilling effect) sul lavoro dei giornalisti e lascia senza adeguata protezione legale il loro diritto alla libertà di espressione”. Le prese di posizione dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e di Ossigeno per l’Informazione sono allegate all’alert pubblicato sulla Piattaforma.
Nel frattempo si è appreso che la Corte Costituzionale deciderà il 9 giugno prossimo se é o no legittimo il carcere per i giornalisti condannati in via definitiva per diffamazione aggravata a mezzo stampa. La presidente dell’Alta Corte professoressa Marta Cartabia, accogliendo a tempo di record un’istanza presentata dall’avvocato Giuseppe Vitiello di Napoli per conto dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, ha rifissato l’udienza pubblica con ripresa tv (i precedenti appuntamenti del 21 e 22 aprile erano stati infatti rinviati per l’emergenza da Coronavirus-Covid 19).
Sarà questa la prima volta in cui verrà esaminata dai 15 giudici di palazzo della Consulta una questione di fondamentale importanza per la libertà di stampa nel nostro Paese, sollevata un anno fa dal tribunale di Salerno, che ha accolto un’eccezione sollevata dalla difesa, mentre d’ufficio dal tribunale di Bari – sezione di Modugno che ritenevano illegittima la detenzione di un giornalista per il reato di diffamazione, prevista sia dall’art. 595 del codice penale, sia dalla legge sulla stampa (la n. 47 del 1948), figlia del codice Rocco, perché incompatibile con il diritto di cronaca e con la libertà di espressione garantita dagli articoli 3, 21, 25, 27 e 117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo proprio perché rappresenta un limite sostanziale alla libertà di informazione e quindi al sistema democratico del nostro Paese.
La notizia dell’udienza del 9 giugno alla Corte Costituzionale ha, tuttavia, stimolato la presentazione, avvenuta il 12 maggio, di un 2° alert al Consiglio d‘Europa da parte del consorzio Media Freedom Rapid Response di cui fa parte OBCT – Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, in cui si fa presente che nel giudizio davanti alla Corte Costituzionale é intervenuto come parte interessata anche il presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti Carlo Verna, che opponendosi alla proposta di concludere il giudizio a porte chiuse, aveva sollevato per primo il problema della posizione ambigua assunta dall’Avvocatura dello Stato e aveva chiesto formalmente al premier Conte, ma senza ottenere risposta, di chiarire la posizione del Governo sul mantenimento della pena carceraria. Il Governo italiano dovrà quindi rispondere all’Europa se é o no favorevole a confermare la detenzione in cella per i giornalisti condannati in via definitiva per diffamazione aggravata a mezzo stampa senza più equivoci tra la posizione personale del Presidente del Consiglio professor Giuseppe Conte e quella dell’Avvocatura generale dello Stato che lo difende e lo rappresenta a tutti gli effetti di legge in giudizio. Particolare curioso: la FNSI – Federazione Nazionale della Stampa Italiana (sindacato unitario dei giornalisti italiani) nei suoi comunicati, pur informando del rinvio dell’udienza del 21 aprile e della nuova fissazione della seduta alla Consulta del 9 giugno ha stranamente “bucato” la notizia della richiesta da parte dell’Avvocatura dello Stato, costituitasi per conto della Presidenza del Consiglio, di confermare il carcere per il giornalista condannato in sede penale per diffamazione. Notizia che, come si é detto, ha poi determinato la presentazione dei 2 Alert al Consiglio d’Europa. Ma c’é un piccolo “colpo di scena”: la sera del 13 maggio la FNSI ha diffuso un comunicato annunciando che in un incontro con i vertici del sindacato, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Andrea Martella ha dichiarato: «Il carcere per i giornalisti va abolito». Ed ha anche ribadito la necessità di una riforma organica del settore che preveda anche il contrasto alle querele bavaglio. «La dichiarazione di incostituzionalità del carcere per i giornalisti sarebbe un atto di civiltà per l’Italia. Una battaglia che la Fnsi porta storicamente avanti in tutte le sedi, in Italia e in Europa», hanno a loro volta dichiarato Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. Questa diatriba su “carcere sì”- ”carcere no” su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro si trascina ormai da molti lustri e ha diviso la magistratura e il Parlamento. Infatti tutti i disegni di legge sinora presentati alla Camera e al Senato non sono mai giunti a conclusione e si sono insabbiati prima della fine di ogni legislatura. E anche quelli attualmente all’esame di palazzo Madama fanno un passo avanti e due indietro. Insomma negli ultimi 40 anni tutte le promesse di riforma della diffamazione da parte dei politici si sono rivelate da marinaio senza mai concludere nulla. L’unica riforma é stata quella che nel 2016 ha depenalizzato il reato di ingiuria previsto dall’art. 594 del codice penale. E pensare che il Sindacato dei giornalisti nacque 143 anni fa proprio a seguito del duello a colpi di sciabola che si svolse a Roma la sera del 18 maggio 1877 tra l’onorevole Augusto Pierantoni (avvocato, deputato radicale per molte legislature e genero dell’allora ministro della Giustizia Pasquale Stanislao Mancini) e il giornalista parlamentare de “Il Fanfulla” (prestigioso quotidiano da tempo non più in edicola) Fedele Albanese per un articolo ritenuto sarcastico e diffamatorio. Il duello, per fortuna, si concluse in modo incruento dopo tre attacchi con la vittoria dell’onorevole che, alto 1,90, ferì in allungo all’avambraccio il resocontista del “Fanfulla”. Appare quindi assurdo che in tutti questi anni non si sia ancora trovata con buon senso ed equilibrio la soluzione più equa in tema di sanzioni penali nei confronti di un giornalista condannato per diffamazione a mezzo stampa.In ogni caso, però, senza attendere l’Europa questi dubbi potranno già essere sciolti il 9 giugno quando alle 9,30 si svolgerà la seduta pubblica della Corte Costituzionale (a chi non potrà parteciparvi sarà comunque possibile rivedere su internet nei giorni successivi il filmato con la registrazione di tutti gli interventi, documentazione utilissima anche agli studenti universitari per l’eventuale stesura di tesi di laurea). Vi sarà, tuttavia, una novità in quanto la Presidente della Corte Marta Cartabia ha deciso che si discuta in udienza pubblica anche l’articolata ordinanza del tribunale di Bari sezione di Modugno per la quale era stata in precedenza fissata la camera di consiglio del 22 aprile scorso. Il 9 giugno prossimo, quindi, subito dopo la relazione da parte del giudice relatore professor Francesco Viganò si affronteranno, da un lato, i due legali dell’Avvocatura Generale dello Stato avvocati Salvatore Faraci e Maurizio Greco e, dall’altro, l’avvocato Francesco Paolo Chioccolerai, legale di fiducia dei due giornalisti imputati a Salerno che li assiste per conto del Sugc (Sindacato unitario dei giornalisti della Campania) e l’avvocato Giuseppe Vitiello che assiste, invece, il presidente del CNOG Carlo Verna nell’interesse dell’intera categoria. Al centro della discussione sarà soprattutto la valutazione da parte della Corte Costituzionale degli effetti in Italia di numerose sentenze della CEDU – Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, immediatamente applicabili nel nostro Paese, che hanno ripetutamente affermato che tranne in casi assolutamente circoscritti, i giudici italiani, in caso di condanna di un giornalista per diffamazione a mezzo stampa, non dovrebbero più infliggere il carcere, ma eventualmente solo multe. A questi importanti principi della CEDU ha già più volte aderito anche la Cassazione.