Il braccio di ferro tra Merkel e Trump

di Fabio Morabito
I due non si sono mai trovati simpatici. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Lei parlò della necessità di un’Europa autosufficiente proprio quando il miliardario aveva appena conquistato la Casa Bianca e la storia dell’Occidente da settant’anni era all’insegna dello Statoguida a stelle e strisce. La tedesca è stata la più energica nel contrastare il dietrofront americano nell’intesa sul nucleare iraniano, dove il nuovo Presidente ha ritrattato gli accordi sottoscritti dal suo predecessore Barack Obama. Nonostante questo, la cancelliera si è anche data da fare per ammorbidire le tensioni con gli Stati Uniti, anche quelle provocate dagli alleati nell’Unione. Quando lo scorso anno il presidente francese Emmanuel Macron liquidò come morta l’Alleanza atlantica, facendo infuriare Washington, fu Angela Merkel a riconoscere pubblicamente un ruolo indispensabile alla Nato. Anche se in questo caso il nodo era più complesso: la Francia è l’unica potenza nucleare nell’Unione – dopo l’uscita della Gran Bretagna – e l’ombrello atomico degli Stati Uniti serve in qualche modo a non rendere Berlino subordinata a Parigi. Ora però i rapporti tra i due leader sono diventati quanto mai difficili.
E alla vigilia (comincia il primo luglio) del semestre europeo guidato dalla Germania, mentre Trump si gioca la partita della rielezione, le questioni irrisolte, più qualcosa di inedito, sono di nuovo sul tavolo. Tutto sembra precipitato dopo che la cancelliera tedesca ha fatto sapere che non avrebbe partecipato personalmente al G7 programmato a fine giugno a Washington. Un appuntamento troppo ravvicinato alla non risolta emergenza sanitaria. Il presidente degli Stati Uniti si sarebbe offeso. E probabilmente ha riversato sulla cancelliera, in una telefonata che i media americani descrivono come “burrascosa”, i temi dello scontro: dal gasdotto Germania- Russia ai rapporti con la Cina, sulla quale Berlino ha dato la linea all’Europa. Quella di non farsi coinvolgere – per ora -nello scontro tra le due potenze. Una neutralità che nasconde l’idea di una “via europea”. Altro tema, ricorrente nelle conversazioni con Trump, è la spesa tedesca per la Difesa, considerata non adeguata. Un argomento, questo, sul quale il presidente americano insiste spesso, a differenza dei suoi predecessori che preferivano glissare. L’impegno degli alleati nella Nato è spendere almeno il 2% del bilancio nazionale per la Difesa. Ma non subito, entro il 2024. Washington è al 3,4%, Berlino all’1,4%, Roma all’1,2%. E l’impazienza americana è ricorrente. Lo sa bene Ursula von der Leyen, che prima di diventare Presidente della Commissione europea è stata ministro della Giustizia in Germania. Criticata dalla sinistra perché chiedeva di spendere troppo in armamenti, e criticata dalla Nato per il motivo opposto. Eppure la decisione di Angela Merkel di negarsi al G7 programmato a giugno è stata coerente con un’altra sua scelta, di pochi giorni successiva. Anche se molti analisti non hanno creduto alla giustificazione sanitaria per la rinuncia del summit di Washington, la cancelliera poco dopo lo scontro con Trump ha rinviato a data da destinarsi (forse addirittura al 2021) il vertice Unione Europea- Cina, che si sarebbe dovuto tenere a Lipsia a settembre. Una “prima volta” attesa e ora sospesa, ufficialmente per l’emergenza coronavirus. In questo caso le motivazioni del rinvio sembrano più credibilmente politiche, anche perché l’appuntamento era già lontano in agenda: c’è uno scontro in atto tra Washington e Pechino, e in questo l’Unione europea ha una posizione, cosa che di solito le riesce molto difficile in politica estera. La sua posizione è semplice: chiamarsi fuori. Difficile non notare che la diplomazia di Bruxelles riesca ad avere una voce chiara solo quando decide di tacere.
Fatto è che la decisione di Angela Merkel ne ha rafforzato l’immagine in politica estera. Il presidente francese Emmanuel Macron, pronto alla trasferta, si è trovato spiazzato. È stato notato da più parti come questa sia stata una sorta di “rottura” della sintonia tra le due potenze europee nel rapporto con gli Stati Uniti. Si è ricordato come Berlino e Parigi fossero allineate nell’opporsi alla guerra contro l’Iraq che portò al rovesciamento del dittatore Saddam Hussein. Guerra che peraltro era ufficialmente motivata dalla più grande falsità costruita dalla politica nel nuovo millennio, e cioè le finte prove che Bagdad nascondesse armi di “distruzione di massa”. Ora è bastato il “no” della cancelliera a convincere Washington della necessità di un rinvio del G7, e così è stato fatto. Appuntamento rinviato. Ecco chi conta veramente in Europa per Trump. Nell’arco di una settimana tra Washington e Berlino si sono succedute decisioni come in un botta e risposta. Gli Stati Uniti, dopo averlo annunciato solo con qualche velina, hanno confermato dopo qualche giorno di voci e indiscrezioni il ritiro di un terzo dei militari Usa di stanza in Germania (attualmente sono 38.600, scenderanno a circa 29mila). Sono lontani i tempi dei 274mila soldati americani nella sola Repubblica federale tedesca, quando il Paese era diviso (il numero più alto, nel 1962 con John Kennedy alla Casa Bianca). Washington nega che il taglio della presenza militare sia una ritorsione per il “no” al G7 della cancelliera. E in effetti la decisione era già nell’aria, come parte di un minor impegno militare in Europa degli Stati Uniti. Ma il concatenarsi dei fatti, e il carattere poco riflessivo di Trump, rendono plausibile che la decisione sia stata anticipata dopo l’ultimo frizione con Angela Merkel. Con qualche ripercussione anche nell’Alleanza atlantica che non è stata coinvolta nella decisione del taglio delle truppe. Anzi, non è stata neanche informata. Confermando l’impressione di chi considera la Nato non come una casa comune di alleati ma come una dependance degli Stati Uniti. E confermando l’approccio solitario di Trump che Berlino non digerisce, come la recente uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità proprio pochi giorni prima di questi ultimi avvenimenti. C’è altro. Gli Stati Uniti non hanno pianificato una successione diplomatica nel ruolo di ambasciatore in Germania. Il titolare a Berlino Richard Grenell è stato incaricato in Patria di guidare l’intelligence, e anche qui tutto è avvenuto con rapidità, senza che un sostituto venisse proposto in contemporanea. Non che a Berlino dispiaccia un avvicendamento: Grenell (che sui social Trump chiama “Rick”) è intervenuto più volte in modo ruvido sul dibattito politico interno in Germania, facendo da cassa di risonanza delle dichiarazioni muscolari di Trump. Di tutt’altro stile la replica del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, sulla riduzione del contingente americano. Ha ringraziato le truppe date in partenza per “il lavoro svolto”. Fatto è che la riduzione dell’impegno militare Usa in Germania, se non ci saranno a breve altri “ridimensionamenti” non cambia molto nella sostanza: non si tratta di un arretramento della Nato, perché il taglio dei numeri avviene in un unico Paese, che aveva già visto in passato delle riduzioni della presenza militare americana. A complicare il quadro c’è però la richiesta della Polonia che le truppe vengano spostate a presidiare il suo territorio.
“Questo rafforzerebbe il fianco orientale della Nato” ha spiegato il premier Mateusz Morawiecki. Una richiesta in chiave anti-russa, conseguenza delle cicatrici del Patto di Varsavia che univa, contrapposti al blocco Nato, i Paesi comunisti dell’Europa dell’Est controllati militarmente dall’Unione sovietica. È assai improbabile che Trump voglia compiacere la richiesta polacca. Anzi. In questo momento è interessato alla distensione con la Russia, e il minor impegno in Germania è semmai un segnale in questo senso. La particolarità della tensione tra Trump e Merkel è tutta nei due protagonisti, e non tra i due Paesi che potrebbero affrancarsene se il miliardario americano non venisse rieletto quando si voterà, il prossimo 3 novembre, per deciderne la successione. Il suo avversario, Joe Biden del partito democratico, è favorito nei sondaggi ma è troppo presto per un pronostico plausibile. Angela Merkel ha invece detto da tempo di volersi ritirare dalla politica il prossimo anno, in coincidenza con le prossime elezioni politiche in Germania. Ma la sua popolarità in crescita – anche per come ha efficacemente affrontato l’emergenza sanitaria – ha aumentato i consensi anche per il suo partito, i Cristiano-democratici, dopo anni di sempre maggiore disaffezione. E così, conclusi quasi tre lustri di ininterrotto potere, Angela Merkel si trova sotto pressione. Le si chiede, con insistenza, di rinunciare a passare la mano.
Il peso della campagna elettorale potrebbe aver influito anche sull’attuale situazione diplomatica, non tanto da parte tedesca quanto da parte americana . Il ritiro di quasi diecimila militari dalla Germania servirebbe a Trump – secondo chi legge le sue decisioni in chiave di politica interna – per raccogliere consensi tra quegli elettori sensibili a un disimpegno militare all’estero, e quindi anche in Europa. Un disimpegno di soldati, non di bombe. Quando alcuni dirigenti del Partito socialdemocratico (escluso però il prudente ministro degli Esteri Maas), che sono al governo nella “grande coalizione” con i Cristianodemocratici, hanno chiesto il ritiro di venti bombe nucleari di nuova generazione dalla base aerea di Buchel, si è irritato il solito Grenell, che ha parlato di un danno alla capacità nucleare della Nato.Si tratta delle bombe B 61-21, quattro volte più potenti di quelle che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki, e che sono state aggiunte cinque anni fa all’arsenale Nato in territorio tedesco. Le conseguenze del braccio di ferro tra Angela Merkel e Donald Trump coinvolgono anche l’Italia e gli altri Paesi in difficoltà nell’Unione europea per le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria.Perché la solidarietà e la maggiore coesione con gli alleati europei sono necessarie per contrapporre agli Stati Uniti un’Unione più forte, che non sia più interlocutrice subordinata neanche nei contesti della difesa militare e della sicurezza. Neanche dentro la Nato.

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