Cosa c’è che non funziona nei soldi dall’Europa

di Antonella Blanc

L’Italia invoca “facciamo presto”, ma il cammino per ottenere dei fondi per affrontare le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria (i Recovery fund) – che saranno comunque erogati tutt’altro che presto – è complicato. Anche perché i paletti per l’approvazione non si esauriscono a Bruxelles, ma ci vorrà un passaggio – non si sa quanto insidioso – nei parlamenti nazionali, che dovranno ratificare gli accordi raggiunti. La soluzione proposta dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, e che recepisce aumentando di 250 miliardi la “potenza di fuoco” del piano messo a punto da Francia e Germania, è già una mediazione. Il piano di Recovery fund (fondi di recupero) prevede la raccolta di risorse garantite dal bilancio Ue, senza che però venga condiviso il debito pregresso dei vari Paesi. Da come se ne è parlato nei dibattiti tv e sui giornali, si potrebbe essere portati a credere che il piano sia già stato approvato. Non è così. Il piano potrebbe essere approvato nel Consiglio europeo in calendario il 17 e 18 luglio. Ma neanche questo è sicuro. Ci vuole l’unanimità. E c’è il rischio di un rinvio. E non finisce comunque qui. Poi ci vorrà l’approvazione dei parlamenti nazionali, dove non sempre i governi godono di forti maggioranze, e nei Paesi del Nord non è scontato che tutto fili liscio. L’enfasi della proposta, i 750 miliardi di euro per il rilancio, di cui quasi 173 per l’Italia, che sarebbe la maggior beneficiaria del piano, nasconde poi qualche insidia di cui Palazzo Chigi è consapevole. Innanzitutto, i tempi lenti dei finanziamenti.

La premessa è che questi fondi servono subito, perché l’esasperazione dell’emergenza economica è ora. Questo l’Italia l’ha chiesto, e i “coronabond” (cioè obbligazioni emesse da Bruxelles subito) andavano incontro a questa esigenza vitale. La situazione ora è più complessa al di là se il piano dovesse venire approvato così com’è oppure ridimensionato per la pressione dei cosiddetti Paesi “frugali” che vogliono che ogni Stato membro garantisca in proprio la raccolta di risorse. Seicento (su 750) miliardi sono vincolati al prossimo bilancio Ue, programmato sui 7 anni a cominciare dal 2021. Il che significa che i fondi non saranno disponibili subito se non in piccola parte. Nel 2021 non si arriva al 6% di risorse che potranno essere utilizzate. Bisognerà aspettare il 2023 e il 2024, quando saranno distribuiti aiuti per trecento miliardi. Aiuti vincolati, e in questo l’Italia deve dare un segno di discontinuità rispetto agli anni delle risorse perdute. E Bruxelles chiede prima piani precisi nel dettaglio su come verranno investiti i fondi disponibili, e poi riforme. Che l’Italia in effetti sta facendo, come il decreto semplificazione in discussione in questi giorni. Dove però nella bozza era già indicato un imbarazzante condono fiscale, indicativo di una vecchia politica compiacente. Condono poi stralciato. Ovvio che Angela Merkel suggerisca di utilizzare anche i soldi del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) fondi subito accessibili (e che per l’Italia sono l’equivalente d 37 miliardi). Dovranno essere destinati alla Sanità. Si tratta di un prestito a tasso agevolato, ma sempre di un prestito. I Cinque Stelle sono contrari perché temono quelle condizionalità previste dalle norme. Se la condizionalità è vincolata solo alla spesa sanitaria, è un conto; ma se tutto il percorso sarà “sotto osservazione” i timori hanno un fondamento. Ursula von der Leyen

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