di Fabio Morabito
Sulla stampa italiana si torna a parlare di Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, conosciuto anche come Fondo Salva-Stati, che prima e durante l’emergenza sanitaria è stato un tema ricorrente di polemiche politiche. E se ne torna a parlare con una frequenza impressionante, anche se la scadenza più immediata è un’altra: il 17 e 18 luglio torna a riunirsi a Bruxelles il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione, ed è il primo vertice “di presenza” da quando è cominciata l’emergenza sanitaria. In agenda c’è il Piano di rilancio in risposta alla crisi e il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Si parlerà quindi di Recovery Fund, il sistema di soccorso per fronteggiare la crisi economica, con un impianto di prestiti e finanziamenti proposto da Francia e Germania e accolto, potenziandolo, dalla Commissione europea. Ma le divisioni ci sono, alcuni governi (Paesi Bassi e Austria in testa) non vogliono concedere aiuti all’Italia e alla Spagna (i Paesi che da questa crisi lamentano le maggiori difficoltà) ma certamente capitoleranno quando riusciranno ad incassare qualche vantaggio (e saranno gli sconti rispetto ai pagamenti dovuti alla Ue e già loro concessi anche in questi sette anni di bilancio che stanno andando in chiusura). Si va quindi al Consiglio europeo con l’ipotesi di un rinvio (se non ci sarà un accordo subito, che è chiesto da Roma ma anche da Berlino) o quello di un ridimensionamento dell’impianto generale (e degli importi) dell’accordo. L’intesa è destinata, con qualche incidente e limite, ad andare in porto: ma i finanziamenti verranno erogati più in là, diluiti negli anni, lontani dall’emergenza e dalle necessità, che sono invece per loro natura impellenti. L’Italia, massimo beneficiario del piano con una quota di 173 miliardi totali, potrebbe anche accettare un ritocco al ribasso se però questo volesse dire non aggravare di troppe condizioni la concessione degli aiuti.
Nella ricerca di una mediazione è molto attivo il belga Charles Michel, che è il presidente eletto del Consiglio europeo. Ma nella sua proposta, già anticipata, vorrebbe che ad approvare gli esborsi non fosse più la Commissione ma proprio il Consiglio europeo, il che non può ragionevolmente andare bene all’Italia, anche perché l’astuto Michel ha aggiunto una postilla, e cioè che i beneficiari dovranno rispettare le raccomandazione di Bruxelles “degli ultimi anni”, il che finisce con l’essere un cappio. L’Italia sarà pure in ritardo con le riforme, ma presentargli il conto adesso non è una soluzione. Ovvio che i circa 36 miliardi che l’Italia potrebbe ottenere tramite il Mes sono – in questo quadro – una risorsa che è difficile rifiutare. I soldi del Mes sono un prestito, non un regalo. Ma a tasso agevolato dello 0,13%, quindi con un risparmio netto e potente rispetto ai tassi pagati dall’Italia nei buoni pluriennali piazzati sui mercati in questi giorni. Come si sa, sul Mes c’è una divisione lacerante tra le due principali forze di governo. I Cinque Stelle – con qualche pragmatico distinguo – sono ostili al Mes, vorrebbero abolirlo, e temono la condizionalità che – per norma scritta – accompagna la concessione di questo prestito. Su questa posizione, anzi anche più compatti, sono Lega e Fratelli d’Italia. Nettamente convinti che si debba ricorrere al Mes senza tante storie sono il Partito democratico (al governo) e Forza Italia (all’opposizione).
Con il voto in Parlamento è già chiaro che gli “azzurri” del partito di Silvio Berlusconi andranno a colmare le defezioni tra i Cinque Stelle, qualora il primo ministro Giuseppe Conte decidesse di ricorrere al Mes. Se ne riparlerà a fine estate. Anche per Forza Italia è utile votare nella seconda metà di settembre, dopo le elezioni Regionali, nelle quali il partito di Berlusconi è solido alleato di Lega e Fratelli d’Italia. Anche se la diversa valutazione del Mes non è cosa di oggi. È cosa di sempre. Conte è arrivato a dire che ricorrerà al Mes solo se lo farà anche la Francia, ma si tratta di una delle tante dichiarazioni tattiche in vista di una decisione destinata ad esseti dalla Grecia, un percorso “lacrime e sangue” e super-sorvegliato. Un’esperienza che ricorre come uno spauracchio. Si è affacciata anche l’ipotesi che solo annunciare il ricorso al Mes potrebbe nuocere all’Italia perché avrebbe un effetto negativo alzando i tassi d’interesse dei mercati, come se il Mes fosse un marchio d’infamia che dichiara la quasi bancarotta del richiedente. Questo è un elemento psicologico al quale per ora manca la prova dei fatti, che ognuno può giudicare come timore plausibile o esagerato. Ma le richieste italiane -data l’eccezionalità della situazione – di un prestito “senza condizioni” sono state accolte. Fino a un certo punto, naturalmente. Una condizione resta: la concessione del prestito – che sarà decennale – è subordinata all’impegno che i soldi vengano utilizzati esclusivamente per la spesa sanitaria diretta e indiretta, spesa connessa a un programma di gestione dell’emergenza attuale.
Quindi l’Italia avrà un obbligo di rendiconto, e su questa sarà esaminata, mentre resterà un sistema di controllo (ma senza ingerenze su come gestire il debito) chiamato “early warning”, strumento tecnico di valutazione del rischio, che verificherà la capacità di restituire il debito. Ma l’indicazione per spesa sanitaria è talmente ampia da comprendere molte voci di spesa corrente, che in passato sono state sacrificate per i tagli di bilancio (e le conseguenze di questi risparmi sono anche nella sofferta reazione all’emergenza sanitaria). Si va dall’acquisto di vaccini alla ristrutturazione degli ospedali e perfino delle case per anziani. Nonostante questo, il Movimento Cinque Stelle ha ancora delle resistenze: meglio – è la tesi – avere le mani libere pagando qualcosa in più sugli interessi che correre il rischio, nei dieci anni del prestito, che doversi sottoporsi al controllo di Bruxelles. Nicola Giammarioli, l’italiano che da dieci mesi è segretario generale del Mes, in ogni occasione – pur tenendosi fuori dal dibattito politico – rimarca che le linee di credito – sia pure solo in questa circostanza – non imporranno altre o diverse condizioni neanche successivamente. C’è tanta fretta, esibita, dichiarata, e anche evidente. Ma tutto slitta più in là.