di Antonella Blanc
Piovono sanzioni sulla Turchia, e non solo dall’Unione europea. Anche se poi a guardar bene per lo più piovono minacce, e sono assai sfumate. Ankara riesce ancora a tenere a bada gli Stati Uniti (è l’alleato Nato più militarizzato, con il secondo esercito nell’Alleanza dopo quello americano). E riesce a tenere a bada l’Unione Europea, per i potenti interessi economici che ammorbidiscono alcune diplomazie. Ma pesa anche il senso di colpa – o l’imbarazzo – dopo l’accordo voluto dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel per frenare le migrazioni dalla Siria: tanti soldi da Bruxelles ad Ankara per trattenere fuori dai confini dell’Unione chi è in fuga dalla guerra civile.
Gli Stati Uniti, in tempo di passaggio tra due presidenti (il repubblicano Donald Trump, dopo aver perso l’ultimo ricorso, si è rassegnato alla vittoria del democratico Joe Biden che si insedierà a gennaio) promettono sanzioni perché la Turchia si è rifornita di missili russi S-400, una commessa rilevante dopo aver acquistato da Mosca anche il sistema di difesa anti-missilistico. E i 27 dell’Unione europea, nell’ultimo Consiglio di capi di Stato e di governo del 10 e 11 dicembre scorso, hanno deciso di sanzionare Ankara per la sua aggressiva politica di trivellazioni nel Mediterraneo orientale nelle acque che sarebbero di competenza economica di due Stati membri della Ue, Grecia e Cipro.
Quali sanzioni? Non c’è riferimento all’export di armi, che continueranno ad essere vendute ad Ankara. Ma riguarderanno altro, e sicuramente non sarà troppo rilevante: la decisione verrà presa nel marzo prossimo dal vertice dei ministri degli Esteri dei 27. A insistere per non inasprire i rapporti con la Turchia è stata la Germania, questa volta sostenuta da Italia e Spagna. E il Consiglio europeo l’11 dicembre ha partorito un documento frutto di faticose mediazioni.
Nelle “conclusioni” infatti, si sottolinea “l’interesse strategico dell’Ue a sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia”. Una premessa che è miele. Oltretutto la Turchia anche in tempi recentissimi ha dichiarato di aspirare a entrare nell’Unione europea. Poi si ammette che c’è qualche problema. Si propone di risolverli con “il dialogo nel rispetto del diritto internazionale”. Esce quindi sconfitta la linea della Francia, il Paese che ha difeso con più energia gli interessi della Grecia e di Cipro, l’isola che si trova da tempo un’autoproclamatasi repubblica filo-turca in casa. La Francia è schierata con Atene ma non per generosità o ideali, piuttosto per precisi interessi propri: Erdogan è il grande avversario di Macron a cominciare dalla spartizione degli interessi in Libia.
Le ragioni di chi difende il negoziato sono sostenute da un unico fatto, rimarcato dal Consiglio europeo: il ritiro della nave turca Oruc Reis dalle acque di competenza della Grecia. Serve, sostiene Bruxelles “una deescalation costante”. Erdogan replica sprezzante: le misure minacciate, e ancora non operative, sono “faziose e unilaterali”.