di Roberto Nigido
Il 30 dicembre scorso i Vertici dell’ Unione Europea, Ursula von der Leyen e Charles Michel e, come presidenza di turno, Angela Merkel hanno annunciato, congiuntamente al Presidente cinese Xi Jinping, di aver raggiunto un accordo di principio sugli investimenti dopo sette anni di negoziati. L’ accordo dovrà essere tradotto in un trattato internazionale tra Unione Europea e Cina e approvato dal Parlamento Europeo. Piueuropei ne ha fornito nel suo numero 71 le grandi linee sulla base delle informazioni che hanno dato alla stampa i rappresentanti dell’Unione. Le ricordo in grandissima sintesi: il governo di Pechino si è impegnato ad accordare alle imprese europee un migliore accesso al mercato cinese, senza discriminazioni rispetto agli operatori nazionali; a introdurre regole condivise con l’Europa su clima, salute e lavoro; a offrire un più alto grado di trasparenza sugli aiuti statali; a inserire norme nel proprio ordinamento contro il trasferimento forzato di tecnologia. E’ rimasto nel vago l’impegno di Pechino di sottoscrivere la Convenzione internazionale contro il lavoro forzato: è un punto di particolare attrito con il mondo occidentale, dato il trattamento riservato da Pechino agli uiguri, popolazione musulmana turcofona insediata nella Cina Nord Occidentale.
Desidero offrire ai lettori di Piùeuropei un breve commento, cercando di scoprire la logica politica che ha ispirato quanto avvenuto. I mercati europei sono aperti agli investimenti cinesi (e alle appropriazioni di tecnologie che ne conseguono e che ne sono l’obiettivo principale), senza restrizioni legislative; perché queste sono le regole dell’economia di mercato vigenti nei Paesi dell’Europa Occidentale. Mentre gli investimenti europei in Cina sono sottoposti dal regime comunista cinese alle restrizioni che l’accordo si proponeva di rimuovere o quanto meno di limitare. L’Unione Europea aveva quindi poco da offrire sul piano commerciale. La Commissione e la presidenza di turno tedesca del Consiglio hanno ritenuto di dover pagare il prezzo politico che la Cina pretendeva. Hanno così accettato vaghe promesse cinesi contro l’ enorme vantaggio offerto alla Cina – affrettando la firma – di impedire la costituzione di un fronte comune dell’Europa con gli Stati Uniti: fronte comune che era stato vivamente auspicato da Joe Biden dopo la sua elezione. La competizione con la Cina è attualmente la maggiore sfida per Washington. Biden ha compreso che può essere vinta se gli Stati Uniti ritroveranno la necessaria unità con i loro alleati, innanzitutto quelli europei: unità che Trump aveva distrutto.
Una trattazione condivisa tra Europa e Stati Uniti del rapporto con la Cina era l’ipotesi temuta da Pechino: il quale è ricorso al ben noto “divide et impera“. Le reazioni negative degli Stati Uniti all’annuncio dell’accordo sono state immediate e del tutto comprensibili. Quali sono le ragioni che hanno spinto la Signora Merkel ad accelerare la firma dell’accordo per tenerla sotto la presidenza di turno tedesca del 2020, senza attendere di consultarsi col nuovo Presidente degli Stati Uniti o, in alternativa, senza aver chiesto alla Cina di adottare preventivamente adeguate modifiche delle leggi sugli investimenti esteri? La Signora Merkel è caduta in un inganno? O ha voluto dare uno schiaffo a Biden ancora prima del suo insediamento, per sottolineare l’ autonomia europea da Washington? Nessuna di queste due ipotesi mi sembra verosimile. Cominciamo dalla seconda ipotesi. L’Unione Europea non aveva nessun interesse ad avviare il rapporto con Biden con una mossa che sapeva essere contraria a quanto egli aveva chiesto. Né lo aveva la Signora Merkel, la quale aveva annunciato mesi fa che, in caso di riconferma di Trump, sarebbe stata contenta di ritirarsi dalla politica per non avere più a che fare con lui; mentre sarebbe stata ben felice di collaborare con Biden se questi avesse vinto le elezione presidenziali. Quanto alla prima ipotesi, mi sembra impossibile che la Signora Merkel possa aver creduto – in buona fede – che Pechino avrebbe ottemperato a tutte le promesse contenute nell’accordo; non lo crede nemmeno la Federazione degli industriali tedeschi. L’avvertimento che viene dai fatti di Hong Kong è inequivoco circa l’inaffidabilità degli impegni internazionali che il regime comunista cinese sottoscrive. Credo che la Signora Merkel abbia contato sul fatto che Pechino si sarebbe comunque impegnato a rendere meno difficile la vita alle imprese europee, soprattutto tedesche, che investono in Cina (e legarle sempre di più agli interessi cinesi).
L’interscambio Germania-Cina rappresenta quasi il 40% del totale dell’interscambio di tutti i Paesi europei con la Cina (dati 2019). Gli investimenti tedeschi in Cina, anch’essi di gran lunga i più importanti tra quelli europei, hanno contribuito in modo sensibile alla crescita dell’ economia cinese, così come a quella degli appetiti globali politici ed economici della Cina. Il regime di Xi Jinping non fa più mistero da tempo del suo disegno di scalzare gli Stati Uniti come Paese leader nel mondo e di distruggerne l’ immagine come emblema dei valori che sono alla base delle società del mondo occidentale: libertà, democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti umani. Pechino descrive questi valori come decrepiti e falliti e si propone di sostituirli con quelli del proprio sistema illiberale e dispotico. La Signora Merkel nella sua ultima esibizione come presidenza di turno nel 2020 ha svenduto i valori della civiltà europea per gli immediati interessi degli industriali tedeschi in Cina. Ha sostenuto la Signora Merkel, con la sua inattesa irruzione telematica al momento della firma del trattato, il Presidente francese Macron. Mi sono ignote le ragioni che hanno spinto Macron a questa poco decorosa sceneggiata. La firma dell’ accordo rappresenta per la Cina un ulteriore passo avanti politico verso il dominio del mondo: una vittoria propagandistica della stessa portata di quella che le hanno concesso i sostenitori di Trump quando hanno assaltato il Congresso. I protagonisti europei – veri o solo comparse – dell’accordo Unione Europea-Cina sugli investimenti (Angela Merkel, Ursula von der Leyen, Charles Michel e Emmanuel Macron) hanno dato un segnale molto preoccupante sulle prospettive della tenuta europea di fronte ai disegni cinesi, così come su quelle di ricomposizione e rafforzamento delle relazioni euro-atlantiche. Non è tuttavia ancora tutto perduto per l’ Europa in questa partita, se il Parlamento Europeo troverà la forza e la dignità di respingere l’ accordo.