di Antonella Blanc
Un giorno di lutto nazionale, un minuto di silenzio nelle scuole e la Torre Eiffel spenta. La Francia dà così l’addio a Jacques Chirac, presidente della Repubblica per due mandati (fino al 2007, dopo di lui nessuno ci è riuscito), morto il 26 settembre scorso a Parigi a 86 anni. Era nella sua casa a rue de Tournon, nel centro della Capitale: è morto pacificamente, senza soffrire, così raccontano i suoi familiari. Alle sue spalle, una vita che lo ha visto ricoprire tutti gli incarichi possibili della grande politica (da sindaco di Parigi per 18 anni a vari ministeri, poi premier, poi Presidente della Repubblica), ma non solo quello. Una gioventù di sacrifici – ha fatto anche il mozzo nelle navi e il lavapiatti – e una passione politica che dagli estremismi giovanili – hano ricordato in tanti che vendeva per le strade il quotidiano comunista l’Humanité – lo ha portato su posizioni moderate e di centrodestra. Un politico che ha attraversato grande parte della politica francese del dopoguerra, gollista, e che il generale Charles De Gaulle, che lo volle ministro, chiamava “il mio bulldozer”.
La maledizione che negli ultimi dodici anni ha visto i presidenti “bruciati” dopo un mandato (sconfitto Nicolas Sarkozy da Francois Hollande, e poi anche Hollande così deludente all’Eliseo al punto da non voler neanche ripresentarsi) non è valsa per Chirac, che in occasione dell’investitura elettorale del secondo mandato è stato sommerso da preferenze, oltre l’ottanta per cento. Vero che il suo avversario era Le Pen padre, estremista di destra che ha compattato i voti del resto della Francia sul nome di Chirac.
Ma Jacques, “Chichi” come lo ha salutato Liberation ricordandone il soprannome affettuoso, ha lasciato un buon ricordo ai francesi, e alcuni meriti legati a una personalità più forte di quanto potesse sembrare. Si oppose alla guerra in Iraq nel 2003 voluta da Stati Uniti e Gran Bretagna. Non perché pacifista ma, secondo l’illuminante interpretazione di Bernardo Valli su Repubblica, “la condanna dell’invasione era dovuta soprattutto alla sua intelligenza politica”. Non perché pacifista: e infatti sulla guerra in Bosnia fu interventista, e il minuto di silenzio che doveva commemorarlo durante la semifinale degli Europei di pallavolo a Bercy, dove i padroni di casa francesi sono stati eliminati dalla Serbia, è stato interrotto proprio dai sostenitori serbi: “Ci ha bombardato”. Un altro merito storicamente pesante è stato l’ammissione – per la quale si aspettarono oltre cinquant’anni – delle colpe del governo- fantaccio di Vichy durante l’occupazione nazista. Era esattamente il 53.mo anniversario del rastrellamento degli ebrei (17 luglio 1942) che sarebbero stati deportati nei campi di sterminio. In quell’occasione, Chirac – appena eletto quell’anno, era il 1995, Presidente della Repubblica – ammise le colpe dello Stato francese di Vichy, che ordinò ai “suoi” gendarmi il rastrellamento.
Jacques viene descritto ora come un uomo amabile, garbato, perfino allegro anche se poi straziato dalla morte prematura di una delle due figlie, Laurence, accanto alla quale è stato seppellito nel cimitero di Montparnasse. Uomo di spirito si dimostrò, con classe, quando un cittadino lo insultò per strada urlando: “Coglione!”. Lui lo avvicinò, gli tese la mano, replicando: “Piacere, io invece sono Jacques Chirac”, trasformando l’insulto ricevuto in una “presentazione” dell’incauto.
E classe ne dimostrò anche quando una manciata di fango lo toccò, ormai quasi ottantenne, già colpito da un ictus, con una condanna a due anni di prigione (con la condizionale) per “abuso di potere”, reato che avrebbe commesso nei quasi vent’anni che lo videro Sindaco di Parigi (fattispecie contestata di frequente agli amministratori, quando anche in buona fede forzano la burocrazia). Nonostante la fragilità dell’accusa (gli stessi pubblici ministeri avevano chiesto l’assoluzione) decise di chiudere così quella pagina, rinunciando a presentare appello. E quell’episodio non riuscì a fargli ombra.