Quello che Bruxelles ha deciso per l’emergenza

 di Giorgio De Rossi

La Commissione Europea, in questa drammatica fase storica, soprattutto dopo la maldestra e disastrosa affermazione della Presidente della BCE Christine Lagarde che ha sostenuto: “Non è nostro compito tenere a bada lo Spread“, ha predisposto una serie di strumenti anti-crisi. E’ stata infatti proprio Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, a dichiarare il 20 marzo u.s. che” Oggi, ed è la prima volta che succede, abbiamo attivato la clausola che ferma il «Patto di stabilità ». Questo significa, ed è importante per l’Italia, che la Commissione concederà la massima flessibilità sugli aiuti di Stato e sul Patto di stabilità, così il Governo italiano potrà aiutare le imprese, il mercato del lavoro ed investire nel settore della sanità. Le regole sul budget, solitamente rigide, sono state molto allentate e rese meno stringenti. In altri termini lo stesso Governo potrà mettere nell’economia tutto il denaro di cui avrà bisogno. Le normali regole di bilancio, quelle sul debito ad esempio, non saranno applicate in questa fase.” La sospensione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita è stata successivamente ratificata il 23 marzo u.s. dai Ministri Finanziari dell’Unione Europea (Ecofin). La stessa Presidente della Commissione, inoltre, nel confermare di aver predisposto un primo pacchetto di misure finanziarie straordinarie, ha sottolineato di aver “considerato un’iniziativa per gli investimenti. Soldi che vengono dai fondi strutturali inutilizzati, che l’Italia non potrebbe più usare e che invece noi le lasciamo. I fondi potranno essere impiegati in tutti i settori considerati prioritari: sono € 11 miliardi. L’Italia potrà investirli nelle piccole e medie imprese, o per la disoccupazione di breve periodo o altro”.

In altri termini si potrà procedere al riutilizzo delle somme stanziate sui 5 Fondi Strutturali Europei (FESR, FSE, FC, FEASR e FEAMP), ma non spese al termine della Programmazione 2014/2020: viene pertanto cancellato l’obbligo di restituzione e conseguentemente viene meno la clausola “N+3”, che prevede il disimpegno automatico delle risorse non spese entro tre anni dall’iscrizione sul bilancio comunitario. L’Italia, nell’attuale ciclo pluriennale che termina quest’anno, deve ancora erogare oltre 38 miliardi di euro. Dette risorse dovranno essere spese entro il 2023, con una media di 9,5 miliardi all’anno: risultato che difficilmente potrà essere ottenuto se dal 2014 ad oggi sono stati spesi solo 15,2 miliardi. In aggiunta, verranno stanziati € 8 miliardi per fornire garanzie al Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) per concedere prestiti destinati al sostegno delle Piccole e Medie Imprese.

E’ anche prevista un’iniziativa di investimento in risposta al coronavirus, attraverso la creazione del c.d. “Coronavirus Response Investement Iniziative” che reindirizza € 37 miliardi dai Fondi di Coesione per fornire liquidità alle piccole imprese, ai mercati del lavoro e al settore sanitario. Il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria straordinaria il 26 marzo u.s., ha votato in via definitiva la proposta della Commissione. Al pacchetto di aiuti messo sul tavolo dalla Commissione si deve aggiungere il “revirement” della posizione della BCE che il 24 marzo u.s., con Decisione (UE) 2020/440, ha istituito il Programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica (Pandemic emergency purchase programme Pepp) con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro: un’azione senza precedenti, che tiene conto dell’emergenza straordinaria della pandemia e che amplia totalmente la libertà di azione della Bce nella sfera dei titoli di Stato e anche dei titoli emessi dalla BEI e dal MES. Nell’ambito del Pepp, infatti, le Banche centrali dell’Eurosistema vengono autorizzate ad acquistare titoli pubblici e privati, inclusi i titoli emessi dalla Grecia ed i “commercial paper”, ovvero le cambiali e i prestiti a breve che tengono in vita molte aziende e che l’effetto del coronavirus sta drasticamente affossando.

Inoltre, nella predetta Decisione 2020/440 della BCE, il Consiglio direttivo ha stabilito, all’articolo 4, che gli acquisti vengono effettuati “nella misura ritenuta «necessaria e proporzionata» a contrastare le minacce poste dalle straordinarie condizioni economiche e di mercato alla capacità dell’Eurosistema di assolvere il proprio mandato”. Detto Programma si può praticamente considerare l’equivalente di un nuovo “Quantitative Easing” (QE) da € 750 miliardi sino alla fine del 2020, che di fatto raggiunge il tetto di € 1.100 miliardi, ove si consideri il “residuo” della gestione Draghi ed i 120 miliardi di euro già annunciati. Un nuovo “whatever it takes” a favore di famiglie, aziende, banche e governi che in giornate di altissima volatilità sui mercati finanziari ha aperto un rubinetto di liquidità ed un efficace scudo anti-tensione sui titoli di stato: non a caso lo spread in soli 2 giorni è calato di oltre 100 punti.

Ma lo strumento finanziario di maggiore attenzione rimane il MES “Meccanismo Europeo di Stabilità” che si configura come l’organizzazione istituita nell’ottobre del 2012, sulla base di un Trattato intergovernativo tra i 19 Stati dell’UE che hanno adottato l’euro, per fornire assistenza finanziaria agli stessi Paesi dell’eurozona, qualora – pur avendo un debito pubblico sostenibile – trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Il MES ha affiancato e poi sostituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), comunemente chiamato Fondo salva Stati, un meccanismo istituito nel 2010 per far fronte alla crisi del debito sovrano. Obiettivo del MES è quello di fornire un sostegno alla stabilità finanziaria, sia della zona euro complessivamente considerata, che quella dei suoi Stati membri. Il MES può dunque aiutare gli Stati in difficoltà in modi diversi: prestiti economici; acquisti di titoli di Stato sul mercato primario e secondario; linee di credito precauzionali; prestiti per la ricapitalizzazione (diretta ed indiretta) delle banche. Dal punto di vista economico, come evidenziato nell’accluso grafico, il capitale sottoscritto ammonta ad € 704 miliardi, di cui € 80 miliardi effettivamente versati dagli Stati membri aderenti. La ripartizione delle quote di partecipazione al MES è determinata tenuto conto, in pari misura, della popolazione dello Stato membro in rapporto alla popolazione complessiva degli Stati aderenti al Fondo e del Prodotto interno lordo (PIL) del medesimo Stato membro in rapporto a quello complessivo degli Stati partecipanti al Fondo.

Con 125,3 miliardi di euro sottoscritti (di cui 14,3 effettivamente versati), l’Italia è il terzo Paese per numero di quote del capitale del MES (17,7%), dopo la Germania, che ha sottoscritto quote per 190 miliardi di euro, di cui 21,7 effettivamente versati (26,9% del totale) e la Francia, che ha sottoscritto quote per 142 miliardi di euro, di cui 16,3 miliardi effettivamente versati (20,2% del totale). Tra gli altri principali sottoscrittori vi sono la Spagna, con 83 miliardi di euro e i Paesi Bassi con 40 miliardi di euro.

Punto centrale del Meccanismo è che l’erogazione dei fondi (ai sensi dell’art. 136, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) è stata subordinata alle clausole di “condizionalità” riguardanti le politiche economiche intraprese dagli Stati finanziati, che si sono impegnati a realizzare programmi di risanamento delle loro finanze per ristabilire il loro equilibrio finanziario. Attualmente il MES, al netto di quanto già erogato, dispone di una capacità di prestito pari a 410 miliardi di euro. l’Italia, con l’appoggio di Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, ha chiesto agli altri partners europei di ricorrere al Fondo salva Stati senza condizionalità, sia per l›eccezionalità e la gravità della situazione, quanto per l’esigenza di evitare che sui Paesi che faranno eventualmente uso del MES si apponga il marchio di “Stato in posizione di quasi fallimento”. l IPremier Giuseppe Conte ha più volte e in più sedi proposto la creazione di “coronabond” europei. L’idea ricorda e specifica quella degli “eurobond” – obbligazioni comuni europee con titoli di Stato garantiti dai Paesi dell’Eurozona – che segnerebbero un avvio di unione fiscale che circola da tempo senza realizzarsi per le note e distanti posizioni principalmente della Germania, dei Paesi Bassi e dell’Austria.

Al recente vertice del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo tenutosi in video conferenza il 26 marzo u.s., i leaders dell’UE hanno dovuto constatare la notevole distanza delle loro posizioni ed hanno preso tempo invitando l’Eurogruppo a presentare “proposte” entro quindici giorni. Nella dichiarazione comune finale, dopo sei ore di dibattito e la forte presa di posizione del Premier Conte che ha minacciato: “se le cose stanno così faremo da soli”, il Consiglio ha affermato la necessità di iniziare i lavori sulla pianificazione di una strategia di uscita dalla crisi, elaborando delle opzioni per un “piano di ripresa globale e di investimenti senza precedenti”. Speriamo che, in assenza di concreti segni di solidarietà, la frase di Carlo Marx: ”la strada per l’Inferno è lastricata di buone intenzioni” non abbia ad avverarsi.

 

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