di Federico Girotti
L’emergenza coronavirus ha creato uno scenario senza precedenti. Un “nemico silenzioso” è entrato, senza invito, dentro le case del vecchio continente, soprattutto in Italia e in Spagna; più in generale nel mondo. Gli effetti del contagio non sono però altrettanto taciti e si riversano sull’intera sfera sociale ed economica del nostro paese. Il risultato è che, in occidente, più di mezzo miliardo di persone si trovano private delle libertà sociali basilari per limitare i contagi ricorrendo all’isolamento forzato. Si parla di una “fase 2” per riavviare le attività produttive e limitare i danni della crisi economica, senza una visione comunitaria che sarebbe, quanto mai, necessaria per evitare l’opportunismo di privati senza scrupoli.
In Italia, secondo la stima dell’Ufficio Parlamentare di bilancio, assisteremo a una discesa del Prodotto Interno Lordo del 6,5% nel 2020 e il debito pubblico italiano, che all’inizio di gennaio toccava quota 2.443 miliardi, salirà oltre 150% del PIL. Il rischio del default finanziario è aggravato dall’incertezza della durata della pandemia nei vari paesi dell’Unione. Con una visione ottimistica, se l’emergenza dovesse finire in Italia nel breve termine, ciò potrebbe non essere lo stesso anche nelle altre nazioni, dove il picco dei contagi, inizialmente basso o per lo meno stabile, potrebbe subire improvvisi aumenti anche nel medio-lungo periodo. Si creerebbe così un effetto differito delle emergenze: laddove un paese uscirebbe dalla crisi un’altro vi entrerebbe, precludendo le possibilità di import ed export. Lo scenario complessivo comporta il verosimile rischio di una recessione economica del singolo paese e, nel caso peggiore, di una depressione globale. Mentre i Governi studiano piani di emergenza e manovre speciali, le aziende di ogni settore devono far fronte alla perdita di introiti, molte di esse stanno già riducendo la loro operatività e prevedono tagli del personale.
Secondo Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine dell’università del Massachusetts Institute of Technology) ci vorrà molto tempo per la ripresa. Quando l’Italia, con il resto del mondo riaprirà porte e finestre, la “convalescenza” sarà dettata da chi saprà interpretare i cambiamenti sociali e darà risposta alle nuove abitudini dei consumatori.
Un ruolo fondamentale sarà giocato dalle imprese più digitalizzate, e dall’e-commerce, unico medium attualmente disponibile per acquistare ciò che non si trova nel nostro circondario. Per il tipo di economia “rinchiusa”, che si verrà a creare, internet e le attività economiche digitali saranno una risposta alle esigenze dei consumatori ma, allo stesso tempo, si metterà in crisi il sistema obsoleto e sarà il taglio finale per tutte le altre attività e imprese meno sviluppate digitalmente. In aggiunta si corre il rischio che i colossi aziendali che dispongono di grandi finanziamenti e potente tecnologia possano far man bassa in un mercato finanziario con prezzi al ribasso.
Per entrare nel merito della nuova problematica, ci siamo rivolti l’Università d’Intelligence della Calabria, che da più di vent’anni si occupa di formare analisti del rischio avvalendosi di esperti di fama internazionale.
Il sociologo bielorusso e saggista, Evgenij Morozov, ha tenuto una lezione in videoconferenza al Master in Intelligence, diretto da Mario Caligiuri. Ha spiegato come funziona il capitalismo digitale, che si basa sullo sfruttamento dei dati, e approfondito il ruolo dell’intelligenza artificiale in uno scenario simile a quello di una nuova “guerra” commerciale tra le superpotenze USA e CINA. Per il docente, le conseguenze della pandemia potrebbero essere una minaccia nel rapporto tra gli stati e quelle aziende digitali che potrebbero ottenere una forte supremazia.
“Se lasciamo tutto nelle mani delle piattaforme digitali dei privati, che rappresentano il più decisivo elemento di sviluppo economico di questo tempo- precisa l’analista- tra pochi anni le multinazionali di internet potranno prevalere sulla politica, gestendo direttamente servizi pubblici come la sanità, i trasporti e l’educazione. Già, oggi, intere zone di Smart City come Toronto, sono realizzate con l’apporto determinante di Google e, di conseguenza, con diminuzione della privacy. Questo è il motivo- spiega Morozov- che spinge la popolazione canadese a contestare, poiché delegare ai colossi del digitale anche il controllo di apparati delle istituzioni significa mettere a repentaglio la democrazia”.
Come descritto nel libro di Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza” si corre il rischio dell’utilizzo di dati personali per orientare il comportamento umano utilizzando varie tecniche psicologiche, ma va evidenziato che vi sono valide alternative sul modo di utilizzare l’intelligenza artificiale. Secondo il sociologo, l’Unione Europea dovrebbe cogliere l’occasione per creare una grande struttura pubblica, con infrastrutture tecnologiche all’avanguardia, controllata dalla rappresentanza parlamentare. Una logica alternativa per non cadere nelle mani di multinazionali che adottano un “capitalismo digitale” che punta solamente al profitto. Secondo il docente “sarebbe interessante vedere come l’intelligenza artificiale può essere applicata sia per l’analisi dei dati della diffusione della malattia, sia per la creazione di un vaccino. I “Big Tech” potrebbero intervenire direttamente nelle vicende del Covid-19 elaborando nuovi programmi e piattaforme per l’analisi del rischio. Applicazioni per il monitoraggio dei cittadini sono allo studio dei servizi di intelligence in tutto il mondo. Ad esempio in Israele, con la collaborazione del Mossad, è già stato attivato un sistema di controllo e prevenzione utilizzando tracciati dai telefonini.
Una strategia che anche le nazioni del vecchio continente stanno valutando per far fronte all’emergenza.