di Antonella Blanc
Se si fa la spesa in un supermercato romano, in questi giorni di emergenza sanitaria tra guanti e mascherine, si trovano arance di Cipro e Marocco, pere del Portogallo, pomidoro spagnoli, pinoli russi, scalogno francese e cipolle della Germania. La crisi, le frontiere dai passaggi lenti, dovrebbero privilegiare i prodotti cosiddetti a “chilometro zero”, e lo fanno anche. Ma ci sono i segnali visibili di una crisi della nostra agricoltura che non ha saputo organizzarsi e far fronte alla novità troppo improvvisa che ha prima di tutto tagliato il “corridoio verde” degli stagionali che vengono ogni anno in pullman dall’Europa dell’Est (Romania, Polonia, Bulgaria) per lavorare nei nostri campi.
Un po’ forse perché l’Italia è stata subito il Paese dove il contagio ha fatto più vittime in Europa, un po’ per le difficoltà di trasferimento, ma ci sono mancate decine di migliaia di lavoratori. Quanti? Le cifre fornite da Coldiretti (che calcola 370mila lavoratori stranieri all’anno) e sindacati sono diverse, ma il corto circuito c’è stato. Non per la Germania, che per fronteggiare la raccolta degli asparagi di marzo e aprile, pagata nove euro l’ora, ha trovato subito la soluzione. Ha organizzato centinaia di voli che hanno prelevato e riportato a casa quarantamila braccianti rumeni ogni mese, alloggiati in capannoni per la notte, e fatti lavorare tutto il giorno. Un lavoro troppo faticoso per i tedeschi ma, dal punto di vista degli europei del più povero Est, un lavoro ben retribuito. In Italia, invece, c’è l’eccezione del Veneto, che è riuscito a far arrivare con i pullman quindicimila rumeni. Per il resto, si sono lanciati appelli agli studenti e alle maestranze locali, si sono organizzate piattaforme di domande e offerta, come quella della Cia, la Confederazione italiana agricoltori. C’è disoccupazione nel settore del turismo che ha chiuso dall’oggi al domani, e questo potrebbe fornire un ricambio. In Spagna questa operazione sarebbe riuscita, e quasi 150mila disoccupati sono diventati nell’emergenza braccianti. In Italia le organizzazioni del settore reclamano sistemi di pagamento agili. Il più adatto sarebbe il voucher inventato da Marco Biagi, dove il costo della prestazione oraria comprende anche tasse pagate e contributi fiscali. Un sistema che però non piace ai sindacati. Ma intanto la temporaneità di un intervento può essere la soluzione per un’intesa che salva prodotti della terra e dignità del lavoratore.
Le opposizioni in Parlamento reclamano che il lavoro di bracciante sia offerto a chi ha chiesto il reddito di cittadinanza. Con qualche buona ragione, ma non ci si improvvisa operai dell’agricoltura. Non è una sola mansione, e ci vuole buona salute e resistenza fisica.
Fatto è che le piattaforme predisposte al momento su internet non bastano per rimodulare la nuova domanda e offerta di lavoro, che peraltro deve tener conto anche delle regole imposte dall’emergenza sanitaria (prima di tutto, il rispetto delle distanze).
C’è poi la necessità di rispondere con prontezza a quanto serve (adesso, ad esempio, è tempo di mettere a dimora le piantine di pomodoro). Questo in Italia vuol dire anche fare i conti con una realtà diversa sul territorio: alcuni distretti agricoli del Nord fanno riferimento a comunità di stranieri ben integrate, nel Sud è più frequente lo sfruttamento del lavoro nero. Poi, c’è il problema dell’igiene degli alimenti. In Grecia, Gran Bretagna, Spagna e Germania c’è chi reclama che i nostri formaggi stagionati siano certificati “virus-free” quando, proprio perché stagionati, sono stati preparati molto prima della pandemia. A prescindere dal fatto che non sono veicolo di contagio.
Anche la frutta fresca non dovrebbe essere a rischio, dipende da quanto il tempo il virus può trattenersi su una superficie, e questo i virologi finora sembrano non averlo ancora capito. Certo che è illusorio pretendere che il raccolto sia stato effettuato con tutte le precauzioni. Si può immaginare un ricambio di tute, guanti e mascherine nelle piane di Rosarno, in Calabria, dove i braccianti africani vivono in baraccopoli di lamiera, in questi giorni perfino senz’acqua? Altro che amuchina.
Aiuterebbe la regolarizzazione degli stagionali facendo emergere il lavoro nero. Questo permetterebbe i trasferimenti per lavoro da un campo all’altro, da una regione all’altra, a chi è “invisibile”. Anche i contratti sottodimensionati (meno ore riconosciute di quelle effettivamente lavorate) saranno doppiamente puniti dalla crisi, perché non vedranno riconosciuti i sussidi.
Serve una legge, ma il tempo del dibattito politico non è rapido come le esigenze della terra e i raccolti rischiano di marcire. Eppure, di proposte di leggi per contrastare il lavoro nero e il caporalato ce n’erano già prima di questa crisi. La sanatoria può essere l’occasione per mettere in sicurezza la produzione della terra e i diritti umani.
Nell’emergenza drammatica del settore, r esistono le piccole proprietà che possono arrangiarsi reclutando i familiari, e la “filiera corta” addirittura incassa qualche vantaggio. In Francia si sono inventati la consegna nel portabagagli lasciato aperto delle auto (evitando i contatti tra produttore e consumatore). In Italia la consegna a domicilio consente di tagliare i passaggi e aumentare così il reddito del produttore.
Ora serve limitare i danni, ma l’occasione può essere anche proiettarsi nel futuro. Sul quale l’Europa può essere la giusta risposta sinergica. L’alleanza con l’industria aerospaziale può infatti essere concepita solo in termini europei: è il sistema con il controllo dei satelliti con il quale l’agricoltura può migliorare le produzioni e ridurre i costi. Dallo spazio si possono avere tutte le informazioni necessarie a controllare il meteo, e quindi gestire le irrigazioni, ottimizzare le coltivazioni, avere indicazioni precise su quando seminare (e addirittura cosa) e programmare la raccolta. In Italia ci sono anche eccellenze nelle tecnologie della cosiddetta “agricoltura di precisione”. Si va dai sensori che avvertono di quanta acqua ha bisogno il terreno alla capacità di mappare il suolo e di fornire un programma di lavoro alle macchine agricole. L’emergenza di oggi non ha compromesso il domani.