di Roberto Mostarda
È nel pieno della bufera, quando i venti soffiano senza tregua e le onde travolgono ogni atto e ogni cosa, che il governo della nave deve essere saldo, fatto di pochi elementi chiari, intellegibili, senza repliche. Come si dice nella marineria a bordo il timone deve tenere una direzione, ogni spostamento dalla rotta che non sia motivato dalle circostanze oggettive, ogni perdita di rotta, rischia di essere fatale.
In una situazione come quella creatasi con l’esplosione della pandemia da Covid 19 e con la sua estensione a macchia d’olio in mezzo pianeta in modo tragico e quasi ovunque in modo minaccioso ed insidioso, comprendere in primo luogo e poi decidere e mantenere le decisioni risulta l’unica strada praticabile, mentre la scienza corre senza risparmio di energie e di risorse per trovare una risposta efficace, propedeutica, risolutiva per quanto possibile dinanzi ad un nemico nuovo e soprattutto mutevole.
Abbiamo avuto occasione di incontrare, nella modalità virtuale consentita da questa stagione, ospite del Club Rotary Roma Nord Est, Ranieri Guerra direttore generale aggiunto dell’Oms, responsabile Iniziative Strategiche, cercando attraverso le sue parole di intravedere se non una direzione quanto meno una rotta per il futuro dell’intero pianeta e dell’umanità.
La prima osservazione che ha fatto riguardava i numeri, la quotidiana teoria di dati che concernono i diversi aspetti epidemici e sanitari. Il numero dei ricoverati e dei casi gravi sta certamente diminuendo, ma il problema resta che questa discesa avviene con molta lentezza e un costante rischio di ritorno indietro. Per Ranieri Guerra siamo alle prese con una patologia molto eterogenea, non soltanto riconducibile ad un polmonite interstiziale come sembrava inizialmente. E’ una malattia di sistema che ogni giorno ha una sorpresa clinica che viene purtroppo dalle numerose autopsie che si stanno facendo per quanto riguarda il meccanismo con cui il virus colpisce. E’ un virus molto subdolo, ma estremamente rapido, quindi cavalca la comunità umana in maniera impressionante, si diffonde con contatti sociali normali, non ha bisogno di aggregazioni pubbliche particolari. Vi sono state iniziali sottovalutazioni sia sociali che a livello di governi e di amministrazioni. E questo, ci insegna la cronaca, senza confini e con una sostanziale uniformità di evoluzione.
Uno sguardo al nostro Paese, per la straordinaria e tragica evenienza che lo ha colpito – costituendo in certo modo anche un parametro che ha improntato molte delle reazioni nei paesi europei da quelli più colpiti, a quelli più scettici nel prosieguo dell’estensione pandemica – ha visto il vero epicentro nel nord e soprattutto nella regione Lombardia. Qui, ha osservato Guerra, l’eziologia è stata sicuramente di origine nosocomiale e quindi legata alle strutture ospedaliere, alle lungodegenze, alle residenze sanitarie.
La letalità è apparsa soprattutto confinata agli ultra cinquantacinquenni e a coloro che hanno patologie croniche e soprattutto più di una. Quindi possiamo dire che è un virus altamente selettivo. Colpisce tutti, ma colpisce duro soprattutto le fasce più deboli e vulnerabili della società. Questo è un elemento critico fondamentale. Perché se pensiamo che si tengono chiuse le scuole non lo si fa perché i bambini si infettano in modo grave, ma soprattutto perché i bambini possono diventare una fonte importante di contagio tornando a casa. E questo potrebbe ovviamente aumentare la circolazione comunitaria del virus e dare problematiche più gravi rispetto a coloro che risultano immuni sino ad ora e che sono suscettibili di contagio. Scuole dunque ultime a riaprire, l’opinione del vice direttore Oms.
In queste ultime settimane di quarantena la curva cala anche in maniera decisa però ha raggiunto un plateau da cui è difficile da schiodare. La rapidità con cui la curva è diminuita è in funzione dell’isolamento, del rispetto dell’isolamento e della quarantena. Quanto più si sta isolati tanto più rapida è la diminuzione della trasmissione del contagio. E’ facile dirlo, ma è enormemente difficile farlo. Ora che si comincia a parlare e a decidere la riapertura graduale perché il Paese non può sopportare la chiusura della struttura produttiva ancora per molte settimane, assisteremo al riavvio di alcune attività sempre tenendo presente che esiste un rischio di ripartenza della pandemia. Convivremo, per Ranieri Guerra, con il virus ancora per molto tempo. Questo, per inciso, vale anche nelle regioni del Centro Sud dove per fortuna il tempo di preparazione è stato maggiore. Le strutture di sistema sono state potenziate al punto che le regioni meridionali, l’area metropolitana di Roma, in modo particolare quella di Napoli sulle quali si temeva di più, sono riusciti a mantenere una circolazione molto più bassa, l’affollamento delle strutture ospedaliere non è neppure lontanamente paragonabile a Milano, a Bergamo e agli altri focolai. Diciamo che il sistema tiene. Fino a quanto tenga è da vedere. E’ però il momento di rafforzare le strutture. E’ impensabile che gli ospedali possano sopportare un altro stress come quello che hanno subito. Dunque, un investimento massiccio per qualificare i posti letto ospedalieri, renderli di terapia intensiva, terapia sub intensiva ampliando molto la capacità ricettiva di medicina interna ma soprattutto andando a potenziare la rete territoriale, i dipartimenti di prevenzione, con il coinvolgimento attivo della medicina generale e della pediatria di libera scelta, finora marginali. Si parla sempre più di vaccino per la nuova pandemia virale. E tuttavia non dobbiamo abbassare la guardia su tutte le prassi che riguardano in generale le infezioni influenzali e le possibili complicanze polmonari. non perché sia la stagione di queste infezioni periodiche ma perché dobbiamo prepararci, essere capaci di vaccinare gli anziani e i bambini, a livello di prevenzione e difesa sociale. In autunno entreremo nella stagione in cui l´influenza stagionale e le polmoniti saranno fattori confondenti importanti, a meno che non ci mettiamo in sicurezza vaccinando in maniera molto piu´ intensa e diffusa che in passato. Il Covid è un virus altamente insidioso, un virus sul quale in questo momento stiamo avendo dei riscontri scientifici molto importanti sia per quanto riguarda la progressiva sintesi di vaccini che per quanto riguarda il lancio che è stato fatto anche in Italia (l’Aifa non si è certo negata) con otto protocolli terapeutici attualmente in vigore e una verifica di presidi terapeutici che poco più di un mese fa erano assolutamente sconosciuti. Diciamo che la scienza non sta a guardare. Per Guerra, il virus con il quale combattiamo una vera e propria guerra, avrebbe richiesto subito rapidità di decisione e compattezza da parte di tutti. La comprensione del rischio e la mobilitazione immediata di tutte le risorse di ciascun paese, e in maniera altamente coordinata. L’Oms ha cercato di avvertire e cercato di allertare. Però sappiamo bene quanto sia difficile per un’organizzazione statale di muoversi in maniera tempestiva rispetto ai tempi di un´epidemia. In più è partita la competizione. E questa è la cosa straordinariamente negativa dell’esperienza di questa epidemia. E’ partita una competizione cercando di accaparrarsi il massimo delle risorse disponibili: mascherine, dispositivi di protezione, farmaci e quant’altro a scapito dei paesi maggiormente colpiti: ad esempio, il meccanismo di protezione civile europeo è stato attivato con estremo ritardo tra molti malumori di alcuni stati membri che non volevano avviarlo, nella convinzione che i paesi colpiti sarebbero rimasti limitati. E che l’epidemia non si sarebbe propagata. Cosa che invece si è dimostrato non essere vera.
L’agenzia ha cercato di coordinare questo tipo di risposta riuscendoci però solo parzialmente, la sua riflessione, perché ogni stato è sovrano e quindi può autonomamente decidere. Non c’è nessuna capacità cogente da parte dell’Organizzazione Mondiale. Essa esprime quella che si chiama la moral suasion in cui è ovvio che la società civile diventa l’alleato fondamentale per far capire al governo e all’amministrazione pubblica che siamo in presenza di una crisi e di una crisi epocale.
Non bisogna dimenticare neppure un’altra cosa. Trenta anni fa circa, un indimenticabile Surgeon General degli Stati Uniti affermò candidamente che il tempo delle malattie infettive e delle epidemie era finito per sempre e ci saremmo dovuti concentrare esclusivamente sulla patologia cronica degenerativa. Questo non è avvenuto. Quindi, presto o tardi, una pandemia sarebbe arrivata e abbiano cercato di preparare tutti quanti, raccomandando di aggiornare i piani pandemici che sono stati definiti per la SARS, quindi ormai venti anni fa. Questo in Italia è avvenuto, nel 2016 quando Guerra lavorava presso il ministero della Salute. Il problema dei piani pandemici è che tutti li fanno, li scrivono, ma nessuno in verità ci crede. Tutti quanti pensano che la minaccia globale e una minaccia così pervasiva come quella rappresentata da questo virus, non arrivino mai. Di fatto però si manifesta e colpisce duro. Non è una patologia esotica, è un virus ubiquitario, che non conosce limiti, un virus che qualcuno pensava non potesse entrare nei climi tropicali perché esisteva una difesa di chissà che cosa, di fatto sta solo strisciando più lentamente ma sta arrivando e colpirà anche lì, molto duramente. Per Guerra manca la percezione del rischio. Manca la capacità di comprendere quanto un’amministrazione, una società intera possano essere colpite in una situazione come quella che stiamo vivendo.
Guardando al futuro lo stesso Guerra condivide il concetto che niente tornerà come prima. Anzi per lui è quasi un augurio, perché questa esperienza terrificante attraverso la quale è passato il mondo – il 60 per cento della popolazione mondiale è in lockdown – è una cosa che non ha precedenti nella storia. Una volta superata questa emergenza l’augurio da fare è che si torni a capire qual è il valore della preparazione, ovvero che quando accade, quando esiste un allarme di questo genere tutti sanno cosa si deve fare, le amministrazioni diventano coese, i paesi diventano coesi, la società civile diventa il principale supporto di un’amministrazione che è chiamata a decidere. E decidere anche su misure drastiche per il bene e la protezione della popolazione.