zucchero, l’Italia tenta la riscossa con biologico e fruttosio

di Marta Fusaro

Il boom delle vendite dello zucche- ro confezionato è una delle conse- guenze del periodo del lockdown in Italia. L’aumento delle vendite è stato del 46 % in più secondo Erida- nia (marchio storico ora a controllo francese) perché gli italiani, chiusi in casa, si sono messi a cucinare dolci. Ma il ritorno al consumo dello zuc- chero non significa un ritorno alla produzione: gli zuccherifici, che nel nostro Paese quindici anni fa erano 19, sono rimasti in due, mentre un altro paio sono in “stallo” fermati dai costi di produzione. Due, o me- glio tre, se si considera quello di Mazara del Vallo, in Sicilia. Produce (unico al mondo) cristalli di glucosio e fruttosio dalla frutta con un proce- dimento naturale. Ma anche gli altri due impianti in attività, a Minerbio (nei pressi di Bologna) e Pontelongo, in Veneto, uniti nel marchio Italia Zuccheri, hanno scelto la strada del- la produzione biologica. Francia e Germania sono i paesi leader nell’Unione nella produzio- ne della barbabietole da zucchero, poi c’è la Polonia. Sono gli Stati che nell’Unione che hanno messo più a frutto le nuove regole europee, che hanno invece tolto l’Italia dal mercato. Dal mercato, ma non dai consumi. La produzione nazionale è di 200mila tonnellate ricavate dalle coltivazioni su 30mila ettari di terreno. Il consu- mo, industria compresa, è di 1,6 mi- lioni di tonnellate. Più di sette volte tanto. Nel 2006, la produzione ita- liana era di 1,4 milioni di tonnellate, quindi in grado di coprire quasi tutto il fabbisogno nazionale. L’Italia ha – è il caso di dirlo – “perso terreno”, nonostante la costante cre- scita a livello mondiale del- lo zucchero (il consumo ita- liano equivale a poco meno di un decimo circa di quello dell’Unione che è di 17,5 milioni di tonnellate). Il mo- tivo sta nelle scelte comunitarie. Nel 2006, data cruciale, dopo qua- si quarant’anni, Bruxelles abolì le quote zucchero, e furono concessi incentivi a chi chiudeva l’attività in nome della riconversione. Si favorì la nascita di colossi dello zucchero europeo, mentre l’Italia scontava la scarsa produttività delle barbabieto- le autoctone. Questo provocò la chiusura di quasi tutti gli zuccherifici del nostro Pae- se. Un danno, perché la coltivazione della barbabietola da zucchero si adatta benissimo alla necessaria ro- tazione delle coltivazioni, un modo per mantenere ricco naturalmente il terreno e di aumentare – in modo naturale – la produttività delle altre coltivazioni (si calcola fino al 10-20% in più). Ora lo zucchero italiano, nella crisi generale europea, cerca una riscos- sa ottimizzando la raccolta con nuo- vi sistema di coltivazione e irrigazio- ne. Si sta riducendo la differenza di costo con i concorrenti europei. E con i risparmi di filiera, vendendo il prodotto alla grande industria dol- ciaria nazionale, si potrebbe recupe- rare nuovo spazio sul mercato. Un mercato che dava lavoro a seimila addetti quindici anni fa, ora ridotti (stagionali compresi) a circa 1.200 lavoratori. Iniziativa, coltivazioni moderne ma non intensive, ricerca della qualità, per sfidare il mercato. Lo zucchero italiano tenta così una difficile riscossa. Per non arrendersi a un finale amaro.

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