di Teresa Forte
Le energie rinnovabili sono il futuro, l’Unione europea si è posta degli obbiettivi e a differenza del resto del mondo che rinvia o sospende, li ottiene in anticipo. Una buona lezione per una “svolta verde”. Nei primi sei mesi di quest’anno gli impianti di energia solare e di energia dal vento hanno prodotto il 40% del fabbisogno dei 27 Paesi dell’Unione, con situazioni particolarmente virtuose (la Danimarca ha “battuto” tutti producendo con le rinnovabili il 64% del consumo di energia). Si tratta di un risultato complessivo inaspettato, perché l’obbiettivo che si era dato Bruxelles per questo 2020 era di produrre come rinnovabile l’equivalente del 20% del fabbisogno totale di energia. Questo significa che non solo si è raggiunto l’obbiettivo, ma che addirittura si è raddoppiata la quota. È la prima volta che l’energia rinnovabile supera come quantità quella dei combustibili fossili (che nell’Unione coprono il 34% del fabbisogno complessivo). Ci sono certo delle situazioni ancora critiche. La Germania è ancora legata al carbone, e la Polonia è il Paese europeo che di gran lunga ne usa di più. L’Italia ha fatto dei progressi, e l’energia verde -cresciuta di un dieci per cento – è sulla media europea, ma gas e carbone coprono circa il 60%, perché nei nostri conti non c’è l’apporto dell’energia nucleare (vietata da un referendum di molti anni fa).
La quota di energie rinnovabili sul consumo finale lordo di energia è uno degli indicatori principali della strategia europea 2020 che prevede di raggiungere entro il 2020 il 20 % di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. La conferma di questi risultati non è da dare per scontata, perché il primo semestre del 2020 è stato particolarmente favorevole in quanto a sole e vento.
Ma il maggior consumo delle energie rinnovabili non è l’unico obiettivo che l’Europa si è posta per il 2020. C’è l’impegno a ridurre i consumi finali di energia del 20% rispetto ai livelli di trent’anni fa (1990). Su questo l’Unione è in ritardo e potrebbe non farcela anche se ci sono stati finalmente progressi negli ultimi anni.
Il valore del 20% è un valore medio, ma ogni Paese dell’Unione ha una “tabella di marcia” dove la quota di riduzione tiene conto della situazione di partenza: per l’Italia è del 17% (obbiettivo già centrato da cinque anni a questa parte), per Malta del 10%, per la Norvegia del 67,5%. Francia e Paesi Bassi tra i Paesi più in ritardo.