Semaforo verde. L’Italia sa di giocarsi il futuro

di Fabio Morabito

“Ci giochiamo la credibilità”, ha detto Giuseppe Conte riferendosi all’uso che l’Italia farà dei fondi europei sulla pandemia, l’ultima domenica di settembre in collegamento web al Festival dell’Economia civile di Firenze. La credibilità non solo del governo ma “del sistema- Paese”. Un modo forse efficace per motivarsi, per spiegare che non si può fallire. Ma paradossalmente c’è in gioco qualcosa in più della credibilità, che spesso è affidata all’immagine delle persone, alle alchimie di governo, anche ai pregiudizi buoni o cattivi – ma sempre pregiudizi – di cui Bruxelles è prodiga. L’Italia si gioca il futuro, il rilancio dell’economia, il destino delle nuove generazioni. Non è un’esagerazione: c’è un’occasione a cui far fronte, enormi investimenti possibili, un’opportunità unica e irripetibile per chissà quanto tempo. Anche perché le ragioni che motivano occasioni del genere è bene se non si ripetano, perché sono disastri. È successo dopo la Seconda guerra mondiale e le sue macerie. E succede ora con la pandemia che ha bloccato parte dell’economia, e un’altra parte l’ha svuotata, riducendola a un albergo senza ospiti. È indispensabile essere responsabili di fronte a questa situazione particolare. Ma anche preoccupati perché ogni errore costerà caro. C’è un pregresso che ci racconta come l’Italia non sia attrezzata a gestire i fondi europei.

Il nostro Paese è stato il Re degli sprechi, quello che ha meno utilizzato i fondi a disposizione; e ora si trova a poter spendere oltre duecento miliardi, un impegno che meriterebbe una struttura d’eccellenza su misura per queste necessità. Un Paese con un passato di improvvisazione che non rassicura sulla nostra capacità di trasformare in ricchezza feconda (e cioè prima di tutto occupazione e sviluppo) quello che – se mal gestito – diventerà solo nuovo debito. Nei fondi dell’ultimo bilancio di sette anni dell’Unione europea l’Italia ha utilizzato meno del 40% di quanto le era stato assegnato.

I rischi sono questi: non utilizzare, o utilizzare male. Per ora, sulla scrivania del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ci sono nuovi progetti per circa la metà della somma dei fondi stanziati; poi ci sono i progetti che comunque si sarebbe dovuto realizzare ma sono stati rinviati nel tempo per mancanza di risorse. C’è la possibilità di mettere in sicurezza il Paese. Ad esempio, cominciando dalle scuole, molte delle quali non sono a norma neanche rispetto alle misure antisismiche. Ci sono da risistemare gli argini dei fiumi, soffocati dal cemento e per questo incapaci di drenare un alluvione. Servono sette miliardi solo per modernizzare la distribuzione dell’acqua corrente nelle case, che in molte regioni ha perdite che superano il 50%. C’è una strada “verde” e digitale che è quella che più può garantire che i soldi europei vengano utilizzati al meglio. Diventeranno risparmio, serviranno a prevenire disastri e sprechi, modernizzeranno la pubblica amministrazione. Il governo Conte è messo nelle condizioni migliori per lavorare bene: perché c’è l’aiuto dell’Europa, e c’è la stabilità politica. Non c’era motivo che il governo dovesse essere messo in discussione dalle elezioni regionali del 20 e 21 settembre. Si è votato per sette regioni.Il centrosinistra ne governerà quattro (Campania, Puglia, Toscana e Val d’Aosta) il centrodestra tre (Liguria, Marche e Veneto). Ma come ha detto Luca Zaia, leghista, confermato governatore del Veneto con l’equivalente quasi di un plebiscito, il voto regionale è una cosa diversa da quello delle politiche. I cittadini lo sanno bene, i leader politici invece si comportano come se non lo sapessero. Se sul referendum il risultato era scontato (sette italiani su dieci hanno votato “sì”, e cioè per confermare la legge costituzionale che ha stabilito il taglio dei parlamentari da 945 a 600 tra deputati e senatori) sulle Regionali il capo della Lega Matteo Salvini più di tutti si dichiarava convinto di un successo pieno per il centrodestra. Non è stato così, e questo almeno dà più tranquillità all’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, fino alla prossima crisi magari ancora costruita ad arte.

C’è da seguire una strada, in alcuni passaggi obbligata. Non è più tempo di elezioni anticipate e neanche di parlarne: ridotte le Camere bisogna fare una nuova legge elettorale. Poi c’è l’emergenza lavoro da affrontare, questa sì che preoccupa i cittadini, più che votare con il proporzionale o il maggioritario. Forse per non interrompere il feeling con Bruxelles, Conte dà due messaggi: “quota cento”, cioè la pensione anticipata per chi arriva al numero cento tra età e anni di contributi, non sarà ripetuta. Del resto era una legge che era stata fatta a tempo – prevista per tre anni – per accontentare la Lega quando il partito di Matteo Salvini era al governo. E si sapeva che non sarebbe stata confermata: troppo onerosa. Ma verrà fatta una stretta anche sull’altra voce di spesa introdotta dal precedente governo: il reddito di cittadinanza. Saranno più incisivi i controlli e la verifica sull’offerta dei posti di lavoro.

Problemi che si conoscevano, ma c’è stata fretta di introdurre la novità senza che ci fosse la struttura per far fronte a un sistema così complesso. Il segnale a Bruxelles è di un’Italia sobria, che farà i suoi sacrifici. Per ripartire in fretta.

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