di Teresa Forte
Sono 53mila le concessioni balneari in Italia, e muovono un giro d’affari che equivale a quasi un punto percentuale del Prodotto interno lordo. Ma sono anche, storicamente, una sacca di privilegi: costi bassissimi per ogni concessione, e rischio per lo Stato di evasioni fiscali massicce. In questo contesto, e dopo che il nostro Paese ha recepito (dieci anni fa) la direttiva europea sulla liberalizzazione dei servizi, abrogando così il rinnovo in automatico delle concessioni, era assolutamente prevedibile la decisione della Commissione europea di aprire una procedura d’infrazione con l’Italia. Una procedura già da tempo “promessa”. Una lettera inviata da Bruxelles Roma con questo tenore: le autorizzazioni vanno “rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”.
Ai balneatori in Italia è stata concessa con la legge di Bilancio del 2018 una proroga delle concessioni fino al 2033. Ora il governo italiano è costretto a intervenire. Magari approntando una nuova bozza di riforma prendendo le mosse dal ddl che nella precedente legislatura era già stato approvato dalla Camera dei deputati. Questo ddl introduceva il riconoscimento del valore commerciale per il concessionario uscente, e allo stesso tempo una sorta di classificazione sulla qualità per premiare chi si presume abbia lavorato bene. Le associazioni dei balneatori protestano: in un comunicato parlano di “siluro di Bruxelles contro l’Italia”.