Europa, una mappa del rischio per ripartire

di Antonella Blanc

La distribuzione dei vaccini era cominciata nel miglior dei modi, con una prima giornata “europea” subito dopo Natale che ha visto recapitare a ogni Paese dell’Unione lo stesso numero simbolico di dosi. Poi, si è proceduto in ordine sparso. La prima polemica è stata per il contratto che Berlino ha ottenuto a latere della trattativa europea, per 30 milioni di dosi fornite dalla tedesca BioNTech, che in collaborazione con la Pfizer, multinazionale americana, ha prodotto il primo vaccino anti-Covid. Un contratto che si va ad aggiungere a quello con l’Unione per 300 milioni di dosi. Sono abbastanza? Sorprendentemente no, e non solo perché gli abitanti della Ue sono 446 milioni. Ma prima di tutto perché ogni vaccinato ha bisogno di due dosi – somministrate l’una dall’altra a distanza di tre settimane – per essere considerato immune al 95%. E infatti anche l’Italia poi si accorderà per una fornitura aggiuntiva, passando da 26,5 milioni di dosi a un 50% in più, 40 milioni in totale. Si tratta del vaccino più complicato da utilizzare (necessita di essere conservato a una temperatura di almeno 75 gradi sotto zero) e anche il più costoso. Ma il pensiero comune è che non ci sia tempo da perdere. E si procede in ordine sparso. Bene l’Italia all’avvio, con il maggior numero di vaccinati nelle prime settimane.

Male la Francia per semplice disorganizzazione. Ma la strada è ancora in salita, e che salita. La Pfizer rallenta a metà gennaio il quantitativo previsto di fiale distribuite settimanalmente. Un problema per le vaccinazioni programmate: se un paziente dopo tre settimane deve fare il “richiamo” e le fiale non ci sono, che succede? Anche l’AstraZeneca, altra produttrice di un vaccino appena ammesso dall’Ema, l’agenzia europea del farmaco, annuncia: in Italia e nel resto dell’Unione forniremo solo il 40% delle dosi concordate, c’è un problema – è la giustificazione – alla linea di produzione. Il 23 gennaio, il giorno prima di presentare le dimissioni al Quirinale, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (che è anche avvocato e docente di diritto) avverte che il governo farà causa ad entrambe, AstraZeneca e Pfizer.

Però i contratti firmati sono (quasi) blindati. Almeno in quello della Pfizer le penali sono previste se ci sono ritardi nella distribuzione valutati però sull’arco di tre mesi; e comunque non scattano automaticamente.

Con la Pfizer c’è poi una sorpresa sulle fiale: ognuna era all’inizio considerata sufficiente per cinque vaccinazioni, ma la multinazionale ottiene che siano valutate per sei dosi. E questo consentirebbe di riconsiderare la fornitura. Un conteggio che svela l’enigma della provincia di Bolzano, la più brava di tutti nell’ottimizzare le fiale, arrivando a superare il 100% dei vaccini utilizzati su quelli ottenuti. E che ha la coda di un’altra polemica in Italia che coinvolge la Corte dei Conti: sono state acquistate siringhe speciali per il vaccino, dal costo sei volte superiore a quelle tradizionali. Ma questo sarebbe dovuto al fatto che solo con quelle siringhe si evita di sprecare la sesta dose.

Con l’AstraZeneca, che ha firmato un accordo con l’Unione europea per altre 300 milioni di dosi (più l’opzione per altre cento) lo scontro è ancora più duro. La società (anglosvedese) sostiene che i ritardi siano dovuti a un impianto belga ma la Commissione Ue, che è di stanza in Belgio, smentisce. La programmazione dei vari Paesi è stata fatta su una tabella di rifornimenti che potrebbe coprire ampiamente le necessità di tutti solo se rispettata; un ritardo, ed è il caos.

Non mancano ipotesi al veleno: AstraZeneca, il cui vaccino costa circa un decimo della Pfizer, avrebbe subito un’ostruzionismo nelle autorizzazioni, per favorire la diffusione del prodotto tedesco. Molto difficile da dimostrare. La stima economica del business vaccini è stato da più parti valutato in 50 miliardi di euro. “I ritardi – dice il ministro della Salute Roberto Speranza – sono insopportabili, imprevisti, inaccettabili. Ma speriamo di recuperare”. Ritardi che sono un problema di tutta l’Europa. La Svezia è drastica, e ha deciso di sospendere i pagamenti dei vaccini. La Spagna ha dovuto sospendere le vaccinazioni per due settimane nella regione di Madrid e nella Catalogna. “Le compagnie devono mantenere la loro parola, devono rispettare gli impegni presi” avverte la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ricordando che l’Unione europea ha aiutato finanziariamente sia i centri di ricerca che gli stabilimenti di produzione.

Ma com’è possibile che l’Europa sia in affanno, e Israele – mentre scriviamo – sia già riuscita a vaccinare più di un terzo della popolazione? Il premier Benjamin Netanyahu ha telefonato direttamente all’amministratore delegato della Pfizer. Quanti altri capi di Stato lo avrebbero fatto (se ci avessero pensato)? Poi c’è la questione: quanto sono stati pagati i vaccini? Un’industria privata si rivolge a chi paga di più. E in Europa naturalmente si è fatto strada il sospetto che i ritardi siano dovuti alla concessione di corsie preferenziali. La commissaria Ue alla Salute, la cipriota Stella Kyriakides, ha detto che ora Bruxelles chiederà alle aziende con cui l’Unione ha firmato un contratto di rendicontare le consegne effettuate in altri Paesi, per verificare se effettivamente i ritardi sono un problema di produzione o non di altre commesse più redditizie. C’è da considerare però che produrre i vaccini richiede attrezzature complesse, e ci sono più di cento controlli da far approvare. Questo rende poco agevole, soprattutto nei tempi, appaltarne la lavorazione ad altri impianti. In prospettiva, c’è anche un vaccino italiano (Reithera), prodotto a Castel Romano, che però ha superato solo una prima fase di sperimentazione. Avrebbe il vantaggio – formidabile – di essere monodose. Lo svantaggio – pesante – che nella migliore delle ipotesi sarà pronto a settembre, giusto per soccorrere i ritardi del cronoprogramma. Il governo italiano (che è proprietario dell’impresa per il 30%) ha investito circa ottanta milioni di euro per lo sviluppo di questo vaccino. Israele intanto diventa un interessante caso di Paese-laboratorio in grado di monitorare l’efficacia dell’anti-covid. Oltre il 6% dei vaccinati si è già contagiato di coronavirus, e questo dipenderebbe dal fatto che una dose sola non è sufficiente, come peraltro era stato ampiamente certificato dai protocolli di uso.

Poi c’è l’incubo delle varianti. L’Europa si attrezza con una “mappatura” a colori dove il rosso scuro sarò quello più allarmante. L’ha presentata lunedì 25 gennaio il commissario europeo alla Giustizia, il belga Didier Reynders. Per ora però siamo alle prove generali.

L’intensità dei colori è data dal numero di casi su 100mila abitanti; quando si supera il numero di 500 positivi notificati nei 14 giorni precedenti si è appunto in zona rosso scura, considerata a massimo rischio.

La mappatura sarà prodotta dall’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che nella Ue è un’agenzia indipendente. La Commissione europea raccomanda di evitare i viaggi non strettamente necessari, poi i singoli Stati hanno autonomia nell’adottare le misure che ritengono funzionali a limitare la diffusione della pandemia. Le prime regioni italiane indicate, sia pure ancora informalmente, in “zona rosso scura” sono il Veneto, l’ Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia- Giulia e la provincia autonoma di Bolzano. Ma alla Penisola iberica va molto peggio, quasi integralmente colorata rosso scuro. Una vittoria di tappa è della Grecia, unico Paese con uno spicchio verde, che vuol dire contagi quasi nulli. Il sistema dei colori, che tante polemiche ha suscitato in Italia, ha almeno il vantaggio di far riferimento a criteri che si presume siano oggettivi e uguali per tutti, in modo da evitare di colpire sensibilità nazionali, come quando si sconsigliavano le vacanze in un Paese anziché un altro. Ora le polemiche diventano europee, e dalle regioni italiane già penalizzate in anteprima c’è la protesta: in questo modo si colpisce chi è più scrupoloso e fa più tamponi. Non c’è tregua, la campagna di vaccinazione è appena cominciata e gli effetti sono lontani.

La Gran Bretagna, appena uscita dalla Ue, è il primo Paese europeo a superare – il 25 gennaio – la quota di centomila morti. “È difficile definire il dolore contenuto in questa cupa statistica” commenta il giorno dopo il premier Boris Johnson. Si valutano nuove “strette” per limitare la diffusione. “Abbiamo fatto degli errori” ammette il premier conservatore. “Errori monumentali” lo incalzano dall’opposizione i laburisti. Ma la Gran Bretagna, ormai, è un’altra Europa.

E sulla stampa scandalistica inglese, considerato che l’AstraZeneca è a maggior capitale britannico e ha firmato prima un contratto con Londra, viene attaccata Bruxelles: “L’Unione vuole rubarci i vaccini”. Anche i Paesi Bassi cedono e di fronte alla crescita dei contagi impongono il coprifuoco: qui non succedeva dalla Seconda guerra mondiale. La gente scende in piazza, ci sono scontri duri con la polizia e devastazioni in diverse città, centinaia gli arresti. L’emergenza continua.

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