di Roberto Nigido
Durante i quattro anni della presidenza Trump gli Stati Uniti hanno perseguito alcuni obiettivi di politica estera e di sicurezza che gli europei potevano condividere: riequilibrio degli scambi commerciali mondiali, contenimento di Russia e Cina, lotta al terrorismo; mentre altri obiettivi, come il disimpegno dal Medio Oriente e dal Mediterraneo, non erano condivisibili. Soprattutto non erano condivisibili da parte europea gli strumenti che Trump ha utilizzato e che si sono rivelati non sorprendentemente controproducenti anche per gli Stati Uniti: unilateralismo, abbandono della cooperazione transatlantica fino ad arrivare alla conflittualità con l’Europa, messa in dubbio dell’utilità dell’Alleanza Atlantica, spregio delle Organizzazioni Internazionali, ricerca (fallita) di intese personali e dirette con i leader che sono i campioni dell’autoritarismo in Russia, Cina, Corea del Nord, Arabia Saudita. L’Europa è stata costretta a ignorare questa situazione e a vivere in sostanziale isolamento dal suo tradizionale alleato e compagno di civiltà.
Il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha subito annunciato di avere l’intenzione di voler modificare radicalmente i metodi utilizzati da Trump e di voler tornare innanzitutto alla cooperazione con i Paesi alleati. Ma non ha rinunciato a perseguire i principali obiettivi dell’agenda del suo predecessore, perché consoni agli interessi fondamentali del suo Paese: riequilibrio degli scambi commerciali mondiali, contenimento di Russia e Cina e difesa dei valori del mondo occidentale dei quali gli Stati Uniti intendono continuare a farsi paladini e portavoce. Questo approccio chiama sia i singoli Paesi europei che l’Unione Europea a una prova cruciale sul piano economico e strategico. Quest’ultimo aspetto é determinante se l’Europa intende riportare i rapporti con gli Stati Uniti a un livello di cooperazione che sia di reciproca soddisfazione e possibilmente ancora più avanzato di quello esistente prima dell’era Trump.
Sul piano economico, preoccupazione prioritaria dell’Unione Europea dovrebbe essere quella di riequilibrare l’ intercambio con gli Stati Uniti: intercambio che segna da troppi anni un vistoso surplus a favore dell’ Europa. Intercambi costantemente e fortemente squilibrati sono nel lungo termine forieri di tensioni anche politiche, come ha dimostrato la storia delle relazioni USA-Cina. Il problema riguarda soprattutto la Germania, come risultato della politica mercantilista che Berlino ha seguito negli ultimi quindici anni, ma anche l’Italia: nel nostro caso peraltro per motivi contingenti e non deliberati (debolezza della domanda interna, anche come conseguenza della politica restrittiva di bilancio nazionale tedesca). Ovviamente occorrerà anche cercare di risolvere di comune intesa i vari punti di frizione esistenti nelle relazioni bilaterali, come la tassa sui servizi informatici. Su entrambi questi due fronti (intercambio e punti di frizione) l’ipotesi di tornare al progetto di un’area di libero scambio si sta rivelando inattuabile per le resistenze prevedibili negli Stati Uniti. In alternativa é stata evocata recentemente la proposta di istituire un Consiglio UE-USA su commercio e sicurezza: in questo ambito potrebbero essere utilmente affrontati anche altri aspetti rilevanti, quali le posizioni da assumere in materia di lotta ai cambiamenti climatici e di rivitalizzazione e revisione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Per quanto riguarda la dimensione strategica nelle relazioni UE-USA, l’Europa verrà misurata dagli Stati Uniti sul metro dei suoi rapporti con Russia e Cina. Gli Stati Uniti si sono convinti già da tempo che, dopo la fine della guerra fredda durante la quale si scontravano regimi politici ed economici diversi, si sia ora giunti a uno scontro tra valori esistenziali diversi: basati, gli uni, sul primato dell’individuo (in Occidente); gli altri, sul primato della collettività (in Oriente). La difesa dei valori del mondo occidentale è affidata al rispetto della libertà, dello stato di diritto, dei diritti umani e della democrazia. Il mondo orientale (in particolare Russia e Cina, ma non solo) ricorre alla limitazione delle libertà e all’autoritarismo. Allo stato attuale, non sembra esista possibilità di compromesso tra i due sistemi di valori. Per evitare di essere schiacciato dal mondo orientale, il mondo occidentale deve convincere quello orientale che non uscirebbe vincitore da uno scontro destinato a trasformarsi, alla resa dei conti, anche in scontro militare; solo dopo aver conseguito questo obiettivo, si potrà cercare di istituire meccanismi di una cooperazione proficua per entrambi. In questa ottica, gli Stati Uniti chiedono all’ Europa di chiarire in quale dei due campi intenda collocarsi.
Indipendentemente dal rapporto con gli Stati Uniti, l’Europa dovrebbe schierarsi comunque con determinazione a difesa dei valori del mondo occidentale: valori che l’Europa stessa ha creato in oltre duemila anni di storia e che ha esportato con successo in Nord America e in altre parti del mondo; e contrastare con ogni mezzo i disegni russi e cinesi di sostituirli con i loro. Un rinnovato e solido rapporto di cooperazione con gli Stati Uniti rafforzerà l’ efficacia di questa difesa sul piano politico, militare ed economico.
Sul piano politico, la cooperazione UE-USA renderà chiaro a Russia e Cina che non possono contare su divisioni all’ interno del campo occidentale: divisioni che Russia e Cina hanno cercato di alimentare mediante una azione economica e di propaganda esercitata, non senza successo, sui più fragili Paesi europei, tra i quali l’ Italia.
Sul piano militare, è essenziale che i Paesi Europei rafforzino finalmente le proprie capacità di difesa portandone l’ impegno di bilancio ai livelli che la NATO chiede da tempo (2% del PIL). Per l’Italia si tratterebbe di aumentare la spesa militare di dieci miliardi di euro rispetto al 2019. Queste più credibili capacità difensive dovrebbero essere integrate in tutta la misura del possibile in strumenti europei nei settori degli armamenti e dell’operatività, così da conseguire la tanto declamata nei propositi e mai realizzata nei fatti “autonomia strategica”. Autonomia strategica significa che i mezzi di difesa europei dovrebbero costituire il pilastro europeo della NATO e mirare a tre obiettivi essenziali: innanzitutto rendere indiscutibile la capacità atlantica di dissuasione di fronte a qualsiasi volontà di aggressione; in secondo luogo far capire alla Russia che l’ Europa è in grado di fronteggiarla efficacemente anche da sola; in terzo luogo avere la capacità di intervenire in situazioni o settori dove la NATO non ritenga di farlo, per esempio in Africa o nel Mediterraneo. Conseguenza politica molto significativa dell’ autonomia strategica sarebbe anche quella di dare consistenza e credibilità alle iniziative di politica estera dell’ Unione Europea.
Sul piano economico, gli Stati Uniti si attendono che vengano sottratte a Russia e Cina le armi che alcuni dei Paesi europei stanno loro fornendo da tempo e che Russia e Cina utilizzano per acquisire la capacità di sconfiggere e sottomettere i rivali occidentali. Ci si riferisce: alla dipendenza energetica dalla Russia, la quale ne ricava i proventi per sostenere la sua economia e la sua capacità di aggressione militare; al costante deficit commerciale con la Cina, anche per prodotti strategici, compensato non solo con mezzi di pagamento monetari ma anche con investimenti e trasferimenti di tecnologie. Si tratta di investimenti e trasferimenti di tecnologie sui quali la Cina ha basato una parte non irrilevante del suo sviluppo economico e delle sue ambizioni di egemonia regionale e globale.
Rispetto a questi obiettivi gli Stati Uniti chiamano in causa innanzitutto la Germania. Questo riguarda sia la Russia (da ultimo per la decisione tedesca di raddoppiare il gasdotto North Stream, destinato a collegare direttamente Russia e Germania attraverso il Mar Baltico); che la Cina (come confermato dal malumore USA per l’accelerazione, voluta soprattutto da Berlino, dei tempi dell’accordo UE-Cina in materia di investimenti con l’obiettivo di incoraggiare ulteriormente gli investimenti europei in Cina). Ma anche gli imprenditori italiani hanno fatto importanti investimenti in Cina: investimenti che era prevedibile si sarebbero dimostrati socialmente irresponsabili ed economicamente controproducenti per il nostro Paese, perché hanno ridotto l’ impiego e la ricchezza in Italia, delocalizzando le produzioni senza crearne contestualmente di nuove in settori tecnologicamente più avanzati.
Affinché gli europei possano avere una posizione comune – auspicabilmente compatibile con quella USA – è indispensabile un chiarimento in seno all’Unione Europea in merito al campo nel quale l’Europa intende collocarsi nella sfida tra Occidente e Oriente. Questa considerazione riguarda anche l’ Italia, che è considerata dagli Stati Uniti un “sorvegliato speciale” per le simpatie dimostrate soprattutto dai due passati governi nei confronti della Russia e della Cina. Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio Mario Draghi possa esprimere una posizione italiana che sia finalmente chiara e in linea con gli interessi e i valori del nostro Paese nell’ ambito del mondo occidentale. Le sue dichiarazioni in Parlamento il 17 e 18 febbraio al momento del voto di fiducia vanno interpretate in questa direzione: resta da verificare alla prova dei fatti se il Governo riuscirà a contenere le pulsioni – pacifiste, terzo-mondiste, euroscettiche o apertamente anti-europee, filo-russe e filo-cinesi – che hanno attraversato fino a pochi giorni fa alcuni dei partiti che fanno parte della composita e variegata maggioranza che lo sostiene.