Non solo recessione: cara Ue, quanto ci manchi.
A pensare quanti studenti europei raggiungevano il regno Unito prima della Brexit. Circa 66.000 l’anno e avevano gli stessi diritti degli studenti inglesi e pagavano le stesse rette universitarie. Oggi si sono piu’ che dimezzati e pagano le rette degli studenti internazionali, che sono piu’ del doppio di quelle degli studenti inglesi. I 31.000 studenti europei che raggiungono in media il Regno Unito ogni anno hanno vita piu’ difficile perchè devono sostenere costi esosi anche per poter trovare un alloggio universitario e hanno bisogno di un permesso di studio. C’e’ mancanza di alcune figure professionali che un tempo venivano coperte da cittadini europei, che ora per venire a lavorare qui hanno bisogno di un permesso di lavoro. Infatti l’effetto Brexit ha impattato sensibilmente il mondo del lavoro con la carenza di manodopera specializzata proveniente da altri paesi. Adesso per lavorare nel Regno Unito, si deve superare un processo molto restrittivo per poter accedere e di conseguenza risulta un paese meno attrattivo anche per i lavoratori stagionali. Inoltre molti cittadini europei che vivevano in Inghilterra prima della Brexit, perlopiù lavoratori qualificati, sono dovuti tornare nei loro Paesi d’origine. Al loro posto sono arrivati molti cittadini extracomunitari, che però non hanno colmato la mancanza di manodopera derivata dalla Brexit. A cio’ si aggiunge il rallentamento dell’import export da e verso l’Europa. Tutte le merci in entrata e in uscita subiscono severi controlli e questo si ripercuote sui costi, rendendole meno competitive. E i cittadini inglesi stanno a guardare? Senz’altro no. Buonaparte di loro il 57% pensano che la Brexit abbia causato solo dei danni e che il tanto auspicato ritorno alla grandezza del Regno Unito, dopo tre anni, non è tutto rose e fiori. Tutti questi problemi hanno intaccato anche la politica, che non è mai stata così instabile come oggi. Tuttavia non è in corso alcun processo di revisione, né si pensa per ora di cominciarlo. E’ stato il partito conservatore ad iniziare i processi che hanno portato alla Brexit. In effetti con il referendum del 23 giugno 2016, la Gran Bretagna il 29 marzo del 2017 ha reso nota all’Unione europea l’intenzione di uscire. Dopo la vittoria del Leave al referendum nel 2016, il Primo Ministro conservatore David Cameron si è dimesso perché, da convinto europeista, credeva che i cittadini del Regno Unito avrebbero votato compatti per il Remain. Come poi ha ammesso nella sua biografia del 2019 e confermato da più fonti, l’ex leader dei conservatori voleva il referendum perché così avrebbe silenziato la parte del suo partito ostile all’Unione Europea. Theresa May, che ha preso il posto di David Cameron, è stata la prima ministra britannica a dimettersi a causa dell’incapacità di far passare il suo accordo sulla Brexit al Parlamento, che doveva ratificarlo. Ha lasciato il suo incarico nel giugno 2019 dopo soli tre anni al potere. Il suo successore, Boris Johnson, ha affrontato numerose sfide, tra cui le elezioni generali del 2019, l’approvazione dell’accordo sulla Brexit (entrato in vigore il 31 gennaio 2020, a seguito di un periodo transitorio che si è concluso il 31 dicembre del 2020, con il quale il Regno Unito non può più partecipare alle politiche dell’Unione Europea). Il Regno Unito è diventato uno Stato che deve gestire autonomamente tutte le problematiche. Soprattutto quelle economiche, non essendo più membro dell’Unione non può avvalersi di aiuti comunitari. Nel 2021, il governo di Johnson ha però attraversato una serie di crisi, tra cui le tensioni in Irlanda del Nord e le feste private a Downing Street mentre il Paese viveva in lockdown per la pandemia. Inoltre, un rapporto ha rivelato che il governo ha promosso contratti a fine di lucro per amici e aziende collegate al partito, sollevando preoccupazioni sull’integrità del governo. Così anche Boris Johnson si è dovuto dimettere. Nel settembre 2022, Liz Truss è stata nominata Primo Ministro, ma il suo governo ha annunciato una manovra economica che ha fatto crollare i mercati e il valore della sterlina. Prevedeva 45 miliardi di taglio delle tasse, soprattutto per i ceti più ricchi e un conseguente taglio al welfare, ovvero a sussidi e servizi sociali. I sostenitori della Brexit volevano riportare la nazione ai fasti del passato, molto meno i giovani che avevano capito le problematiche che sarebbero nate da questa uscita. Ne esce fuori un paese sostanzialmente in recessione, con un’inflazione che corre velocemente. Il Fondo Monetario Internazionale lo vede all’ultimo posto tra i paesi del G7, come crescita economica nel 2023. Secondo Bloomberg, poi, la Brexit sta costando a Londra 100 miliardi di sterline l’anno. Tutto questo provoca numerose difficoltà, dalla mancanza di investimenti all’incapacità delle imprese di assumere nuova forza lavoro e quindi di crescere. L’agenzia governativa Office for Budget Responsibility ha previsto che nei 15 anni successivi al 2016, la Brexit ridurrà il PIL pro capite del Regno Unito del 4%. Ma come sappiamo, la situazione economica mondiale sta attraversando un periodo difficile e negli ultimi tre anni ci sono stati due grandi scossoni che hanno portato a una generale instabilità in tutto il mondo, la pandemia e la guerra. Questi due eventi hanno provocato un rallentamento dell’economia, ma per il Regno Unito è stato ancora più difficile che per il resto dei Paesi sviluppati e continua a esserlo. La causa sembrerebbe la Brexit. La Brexit, infatti, non sta andando come speravano i suoi iniziali sostenitori e l’economia del Regno Unito sta peggiorando. Conseguenza è che la fiducia è ai minimi degli ultimi 50 anni e le problematiche in sensibile aumento, con rischio possibile di tensioni. I politici fautori della Brexit, in primis l’ex primo ministro Boris Johnson, sono spariti lasciando il paese in una crisi decisamente importante. E se il Primo Ministro britannico Rishi Sunak continua a sostenere che la Brexit (l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea avvenuta nel 2020) sia una straordinaria opportunità per il Regno Unito, diversi politici, anche membri del suo partito, si stanno accordando dietro le quinte per salvare l’economia britannica da una scelta considerata ormai sbagliata. Non è possibile prevedere se sia stata la crisi politica britannica e l’incapacità di guidare il Paese a generare instabilità nell’economia o il contrario, ma per ora il Regno Unito, di solito stabile in entrambi i campi, sta attraversando sfide difficili. In più, la guerra in Ucraina ha un forte impatto su Londra, in quanto il Regno Unito è uno dei più forti sostenitori della strategia dell’invio di armi a Kiev (oltre che di aiuti umanitari). Questa scelta politica ha un forte impatto sull’economia del paese. Insomma la Brexit continua ad essere una questione significativa per Londra e le sue relazioni con l’UE e il resto del mondo. Tuttavia ci vorrà del tempo per vedere gli effetti a lungo termine del processo e per stabilire come il Regno Unito si evolverà in futuro. E le stelle su Londra stanno a guardare. Se il cielo di Londra non è piu’ grigio come negli anni passati, gli orizzonti devono tendere verso il chiarore. Solo il tempo e una visione che ponga al centro di tutto i cittadini potra’ tracciare la strada giusta da seguire.