La normativa tedesca “lesiva” del diritto europeo. Di Andrea Di Dio. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza C-537/2020 del 27 aprile 2023, si è pronunciata ritenendo lesiva del principio di libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la normativa fiscale tedesca che esenta integralmente da tassazione i redditi immobiliari percepiti dai fondi di investimento immobiliare tedeschi, mentre prevede una detassazione solo parziale per gli stessi redditi percepiti dai medesimi fondi non residenti. La decisione ha riguardato un fondo di investimento immobiliare di diritto lussemburghese che, in base alla normativa tedesca, era tenuto ad assoggettare a tassazione in Germania i redditi percepiti a titolo di locazione e di vendita di alcuni immobili ivi situati, mentre gli stessi redditi percepiti da un fondo immobiliare tedesco avrebbero, al contrario, beneficiato di un regime di esenzione. Con la questione sollevata in sede di rinvio pregiudiziale, il giudice nazionale ha chiesto, quindi, se l’articolo 63 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che assoggetta parzialmente i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti all’imposta sulle società per i redditi immobiliari che essi percepiscono nel territorio di tale Stato membro, mentre i fondi di investimento immobiliare specializzati residenti sono esenti da tale imposta. La questione è stata, pertanto, devoluta alla Corte tenuto conto che gli Stati membri devono esercitare la propria competenza in materia di fiscalità diretta nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal TFUE (cfr. sentenza del 29 aprile 2021, Veronsaajien oikeudenvalvontayksikkö (Rendimenti corrisposti da OICVM), C-480/19, EU:C:2021:334, punto 25). Tra queste, l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE vieta in maniera generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri. Le misure vietate da tale disposizione, in quanto restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dall’effettuare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di questo Stato membro dall’effettuarne in altri Stati. Peraltro, a norma dell’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE, l’articolo 63 TFUE non pregiudica il diritto degli Stati membri di applicare le pertinenti disposizioni della propria legislazione tributaria, in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di investimento del loro capitale. Tale disposizione, costituendo una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere tuttavia oggetto di interpretazione restrittiva. Pertanto, essa non può essere interpretata nel senso che qualsiasi legislazione tributaria che operi una distinzione tra i contribuenti in base al luogo in cui essi risiedono o allo Stato membro in cui investono i loro capitali sia automaticamente compatibile con il TFUE. Infatti, la deroga prevista all’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE subisce essa stessa una limitazione per effetto dell’articolo 65, paragrafo 3, TFUE, il quale stabilisce che le disposizioni nazionali di cui al precedente paragrafo 1 “non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63” TFUE (cfr. sentenza del 17 marzo 2022, AllianzGI-Fonds AEVN, C-545/19, EU:C:2022:193, punto 41). La Corte, investita della questione, ha, in primo luogo, statuito che occorre distinguere le differenze di trattamento consentite dall’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE dalle discriminazioni vietate dall’articolo 65, paragrafo 3, TFUE. Orbene, affinché una normativa tributaria nazionale possa considerarsi compatibile con le disposizioni del TFUE relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento che ne risulta riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili, o sia giustificata da un motivo imperativo d’interesse generale. Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che, in forza della normativa tedesca come richiamata nel procedimento principale, i fondi di investimento immobiliare specializzati residenti sono esenti dall’imposta sulle società, mentre i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti non beneficiano di una siffatta esenzione. Pertanto, i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti e quelli residenti sono soggetti, per quanto riguarda le norme in materia di imposizione loro applicabili, ad un trattamento diverso, sfavorevole ai fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti. La Corte ha, altresì, ritenuto che tale differenza di trattamento fiscale è certamente idonea a dissuadere, da un lato, i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti dall’effettuare investimenti in immobili situati in Germania e, dall’altro, gli investitori residenti in Germania dall’avvalersi di fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti per tali investimenti. Considerato quanto esposto, la Corte ha ritenuto la normativa tedesca di cui trattasi idonea ad integrareuna restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata, in linea di principio, dall’articolo 63 TFUE. Rilevata la potenziale restrizione, la Corte si è pertanto espressa sulla sua ammissibilità, valutando l’eventuale sussistenza di motivi imperativi di interesse generale, e la sua idoneità a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito. In questa prospettiva, del resto, il governo tedesco aveva rilevato, nelle sue osservazioni scritte, che, anche supponendo che la normativa tedesca di cui trattasi nel procedimento principale potesse costituire una restrizione alla libera circolazione dei capitali, quest’ultima sarebbe stata giustificata alla luce di due motivi imperativi di interesse generale, vale a dire, da un lato, la necessità di preservare la coerenza del sistema fiscale nazionale e, dall’altro, quella di preservare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri. Sulla prima osservazione, in merito alla coerenza del sistema fiscale nazionale, la Corte ha rilevato, da un lato, che nel caso degli investitori residenti di un fondo di investimento immobiliare specializzato non residente, l’imposta gravante su tale fondo comporta una doppia imposizione economica di tali redditi, poiché questi ultimi risultano imponibili, in primo luogo, presso detto fondo e, in secondo luogo, presso l’investitore residente; dall’altro lato, che la coerenza interna del sistema fiscale di cui trattasi nel procedimento principale potrebbe essere mantenuta se i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti potessero beneficiare dell’esenzione dall’imposta sulle società, a condizione che le autorità fiscali tedesche accertino, con la piena collaborazione di tali fondi, che gli investitori in detti fondi versino un’imposta equivalente a quella cui sono assoggettati gli investitori in un fondo di investimento immobiliare specializzato residente. Consentire a tali fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti di beneficiare di tale esenzione, in tali circostanze, costituirebbe una misura meno restrittiva del regime attuale. La Corte ha, quindi, concluso che la necessità di preservare la coerenza del sistema fiscale nazionale non può, pertanto, giustificare la restrizione alla libera circolazione dei capitali derivante dalla normativa tedesca di cui trattasi nel procedimento principale. Sul secondo aspetto, in merito alla necessità di preservare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, la Corte ha, poi, ricordato che tale giustificazione può essere ammessa nel caso in cui la disciplina fiscale sia intesa a prevenire comportamenti tali da pregiudicare il diritto degli Stati membri di esercitare il proprio potere impositivo in relazione alle attività svolte sul proprio territorio. Tuttavia, allorché uno Stato membro ha scelto, come nel caso di cui al procedimento principale, di non assoggettare ad imposta i fondi residenti sui loro redditi d’origine nazionale, esso non può invocare la necessità di garantire una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri per giustificare l’assoggettamento ad imposta dei fondi non residenti beneficiari di tali redditi. In ragione di tali valutazioni, neppure la giustificazione basata sul mantenimento di una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri è stata ritenuta meritevole di accoglimento. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha, quindi, dichiarato che l’articolo 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che assoggetta parzialmente i fondi di investimento immobiliare specializzati non residenti all’imposta sulle società, per i redditi immobiliari che essi percepiscono nel territorio di tale Stato membro, mentre i fondi di investimento immobiliare specializzati residenti sono esenti da tale imposta. La decisione risulta particolarmente rilevante per l’Italia, atteso che la normativa domestica ha una impostazione analoga a quella della normativa tedesca esaminata dalla Corte. In particolare, il regime fiscale italiano dei fondi di investimento immobiliare è connotato dalla medesima dicotomia: ai fondi immobiliari residenti che, al rispetto dei requisiti di natura regolamentare, risultano esenti da imposizione diretta con una tassazione applicata all’atto della distribuzione dei proventi agli investitori si contrappongono i fondi immobiliari non residenti che, al contrario, risultano immediatamente soggetti ad imposizione sui redditi derivanti dagli immobili da essi detenuti e localizzati in Italia.