Esami di riparazione per Roma

Roma sta sprecando, giorno dopo giorno, la grande occasione di recuperare un ruolo di primissimo piano nell’Unione europea.

 

 

di Fabio Morabito

Roma sta sprecando, giorno dopo giorno, la grande occasione di recuperare un ruolo di primissimo piano nell’Unione europea. E il modo in cui ha gestito la manovra finanziaria che deve per forza passare tra le forche caudine di Bruxelles, anche e soprattutto per gli impegni presi e sottoscritti dall’Italia, è la dimostrazione che il governo guidato da Giuseppe Conte non si è dato finora una strategia di respiro europeo, ma sta vivacchiando su una tattica di prospettiva elettorale. La bocciatura della manovra (ampiamente preannunciata e pre- vista) che potrebbe portare, dopo un’iter di mesi, a penali salatissime (quali? dallo 0,2% allo 0,5% del Pil, quindi fino a 7 miliardi e mezzo di euro), è già un punto critico che andava evitato. Non è un punto di non ritorno: ma i mercati stressati, lo spread (che di fatto quantifica la forbice tra la debolezza dei titoli di Stato italiani e la solidità dei titoli tedeschi), stanno indebolendo la posizione di Roma e rendono risi- bili le dichiarazioni muscolari dei due leader politici – e vicepremier – nel governo, Matteo Salvini (Lega) e Luigi Di Maio (Cinque stelle). Ri- sibili, dopo essere state dannose: i mercati reagiscono male ad ogni dichiarazioni sopra le righe, agli at- tacchi liquidatori alla Commissione europea (come se l’Italia potesse fare come le pare e non avesse firmato trattati, come se non avesse un debito pubblico di oltre 2.300 miliardi di euro).Ma non è un punto di non ritorno. E non ha sbagliato solo Roma. Anche il linguaggio di Bruxelles è stato provocatorio, aggressivo, imprudente. Un mancato accordo, e anche uno stallo prolungato, danneggerà sicuramente la nostra fragile economia, ma sta danneggiando anche l’Unione europea. Che ha solo da perdere in una rottura con Roma, mentre ancora fa male la ferita della Brexit, con la Gran Bretagna che ha deciso l’uscita dall’Unione con un referendum. E non è solo un problema di euroburocrati: in questo clima anti-italiano (con il nostro Paese che viene identifica- to con Matteo Salvini, vicepremier, titolare del Viminale, leader della Lega, che però non è il capo del governo) si gioca una partita più ampia.Quella, ad esempio, del presidente francese Emmanuel Macron, che si accredita come paladino dell’Europa e indica Salvini come il nemico, alla pari dell’ungherese Viktor Orban. Mentre la sequenza di attacchi all’Italia non fa altro che aumentare i consensi ai cosiddetti populisti che si vorrebbe combattere.

Ma non siamo – per fortuna – a un punto di non ritorno. Palazzo Chigi, dopo la bocciatura della Com- missione europea del Documento programmatico di bilancio, ha tre settimane di tempo per convince- re Bruxelles a ripensarci. Il primo chiarimento è previsto nell’incontro in calendario il 5 novembre tra il primo ministro Giuseppe Conte e il presidente della Commissione europea, il lussemburghese Jean- Claude Juncker. Roma proporrà dei ritocchi di qualche decimale ai numeri che sono stati bocciati dal- la Commissione: un piano triennale, con un previsto sforamento nel primo anno (2019) nel rapporto deficit-Pil (prodotto interno lordo) del 2,4%, che si basa peraltro di una previsione di crescita del Pil dell’1,5%, considerata troppo ottimistica rispetto alle asfittiche prestazioni della nostra economia negli ultimi anni.

Paolo Savona, ministro degli Affari europei, che nell’intenzioni di Sal- vini sarebbe dovuto essere il titolare dell’Economia – ipotesi saltata per l’opposizione del Quirinale, e così il dicastero è stato affidato a Giovanni Tria – ritiene che la cresci- ta dell’Italia potrebbe essere addirittura del doppio del previsto. Ma i “guardiani” delle regole europee nei documenti di bilancio, e cioè il francese Pierre Moscovici (il responsabile degli Affari economici nella Commissione europea) e il lettone Valdis Dombrovskis (vice di Juncker con delega alla “stabilità finanziaria”), non credono all’1,5% di crescita per l’Italia e pensano che il nuovo governo aggiungerà debito su debito. Cosa peraltro avvenuta puntualmente negli ultimi anni, nonostante l’equilibrio di bi- lancio sia stato introdotto come un obbligo nella nostra Costituzione dal governo “tecnico” guidato da Mario Monti.

In attesa, Roma continua a sbaglia- re i toni. E lo dimostra anche il fat- to che nello stesso governo fanno i cosiddetti pompieri Giovanni Tria, Paolo Savona, anche il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti (considerato la “testa” della Lega). Mentre Giuseppe Conte, moderato di suo, è sembrato fino all’ultima domenica di ottobre inflessibile sul 2,4%: ma anche lui, sembra evidente, vorrebbe un’intesa.
Roma sbaglia i toni al punto che il vicepremier Luigi Di Maio, in televisione, parlando con il conduttore giornalista-comico Enrico Lucci della trasmissione Rai “Nemo”, ha definito Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, un italiano che invece di “tifare” per Palazzo Chigi “si mette ad avvelenare ulteriormente il clima”.

Un’uscita infelice, anche perché Draghi ha invitato a moderare gli attacchi verbali, dicendo l’ovvio: all’Italia fanno male. Certo, abbia- mo visto che fanno male alla temperatura della nostra economia anche le uscite catastrofiste degli euroburocrati. Pure loro sono in campagna elettorale (per il rinnovo del Parla- mento europeo si voterà a fine maggio). Ma è proprio per questo che è Roma a dover tenere la i nervi saldi: nella partita in gioco non c’è solo il sì il no alla nostra manovra, ma anche il ruolo che l’Italia può avere in Europa. Marginale come negli ultimi anni, o decisivo ora che la Gran Bretagna è in uscita, la cancelliera Angela Merkel non è più così forte in Germania, il presidente francese Emmanuel Macron non riesce a consoli- dare una vera alleanza con le capitali a cui guarda con più interesse, Berlino e Madrid.

Il governo Cinque stelle-Lega ha un’occasione d’oro: è vero, parte con l’handicap dei pregiudizi della vecchia politica europea, che non ha capito bene la singolarità del caso italiano: una coalizione tra due movi- menti o parti- ti con identità e programmi molto diversi, ma che rap- presentano una evidente novità. Una forza alla prima prova di governo nazionale – i Cinque stelle – , e un’altra – la Lega – che si è completamente da una realtà scommessa che, se anche non riuscisse a scuotere il mercato del la- voro, dovrebbe comunque tradursi in maggior consumi. La flat tax non c’è. La riforma della legge Fornero sulle pensioni è solo un ritocco.

La manovra sembra ancor più in- digeribile di quello che è in realtà perché il governo precedente, nonostante potesse immaginare di dover fare le valigie, aveva immaginato un Def con uno sforamento solo dello 0,8%. Troppo poco per chiunque, considerando le difficoltà strutturali della nostra economia a rilanciarsi. E la trattativa per una manovra più robusta andava fatta prima, dietro le quinte, non a colpi di sportellate. Ora Roma può recuperare: non si tratta di piegare Bruxelles per dare un’impressione di forza agli elettori, si tratta di ca- pire che se si è dentro delle regole si rispettano.

Naturalmente, proprio quando la Commissione europea bocciava la manovra italiana, arrivavano in soccorso del nostro governo gli apprezzamenti del leader russo Vladimir Putin (che Conte ha incontrato a Mosca) e del presidente Usa Donald Trump, che non ha mancato di dare un messaggio di incoraggiamento all’inquilino di Palazzo Chigi. Eppure Putin e Trump sono due interlocutori interessati, molto interessati, a un’Europa indebolita rinnovata, passando di territorio (il Nord) a un’identità unitaria. Due forze politiche che si sono presentate al voto del 4 marzo lasciando l’Europa in se- condo piano nella loro campagna elettorale, mentre ora Bruxelles è in primo piano in ogni polemica o attacco.

La polemica contro Draghi – peraltro ingenua, perché si parla di chi guida la Banca centrale europea, non un istituto nazionale – ha visto Di Maio criticato da tutti, anche da quei giornali che più lo trattano con simpatia. Lo stesso Salvini ha preso le distanze dal suo compagno di viaggio con un pubblico elogio di Draghi. Proprio quando Di Maio sembrava voler correre dietro a Salvini e al suo braccio di ferro – solo verbale – con Bruxelles. Ma il capo politico
dei Cinque stelle non ha la stessa abilità di crearsi nemici così vulnerabili da liquidare con una battuta.

Questo episodio, almeno, sembra aver rinsavito tutti. E dalla Lega, che appariva la più insofferente ai rimproveri europei, sono arrivati i segnali più concilianti a Bruxelles. Dall’inizio, in questo governo con- vivono moderazione ed esasperazione. Ma tra i moderati c’è anche chi della Lega tiene le fila, come Giorgetti. E in fondo la manovra italiana non è così strampalata o aggressiva come pure è percepita dalle opposizioni e fuori dai confini. Il reddito di cittadinanza è unaE Conte, che lo sa, dovrebbe saper giocare di sponda, facendo valere i buoni rapporti con Stati Uniti e Russia per recuperare prestigio e ascolto dalle altre potenze europee.

Questo è quello che ci si aspetta dal governo italiano: la capacità di trasformare in autorevolezza le occasioni che la situazione con- tingente offre. E diventare attore, e non spettatore, delle scelte co- muni. Già nel piano finanziario del vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans, presentato più di sei mesi fa e indirizzato alla crescita sostenibile, c’è l’idea che l’Unione possa crescere insieme, e non piuttosto in ordine sparso, o peggio ancora uno Stato a scapito dell’altro.

Ci sono poi i dieci miliardi di euro stanziati per la bio-economia, un segmento dove l’Italia ha una vocazione da leader. All’Italia sono affidati ruoli importanti, a cominciare da Mario Draghi – presidente della Banca centrale – ad Antonio Tafani, presidente del Parlamento europeo, fino a Flavia Mogherini, Alto rappresentante della Politica estera. Non è tutto sbagliato, non è tutto alla deriva. E se anche c’è chi paragona la Ue all’Unione sovieti- ca ai tempi di Gorbaciov (Ernesto Galli della Loggia sulle pagine del Corriere della Sera), quindi prima del collasso, il ruolo – e il significa- to – dell’Europa unita è ancora un valore. E l’Italia, che può rimproverarsi di aver condiviso e sottoscritto – certo in altri tempi, con un altro governo – quelle regole contro le quali ora si rivolta, deve trovare il modo di condividere anche le soluzioni economiche per uscire dalla crisi. Per chi scrive la prima soluzione è sempre quella: una lotta senza quartiere all’evasione fiscale. Il sommerso, secondo una stima del Centro studi sul Mezzo- giorno, vale quasi il venti per cento del Pil. Si tratta di far emergere quello che è invisibile alle casse dello Stato, semplificando la fiscalità e rilanciando l’economia con in- vestimenti finanziati dall’evasione recuperata.

Fa discutere in questi giorni la proposta dell’economista Karsten Wendorff, uomo di punta della Bundesbank tedesca, che scrivendo sul Frankfurter Allgemeine Zeitung sostiene che il problema italiano andrebbe affrontato con un fondo “salva-Stato” finanziato con l’acquisto di titoli di solidarietà imposti ai risparmiatori nella misura di un quinto del proprio patrimonio netto.

Wendorff ha precisato che espone una propria idea, a titolo persona- le. Non ci sono pressioni di Berlino per quella che potrebbe sembra- re una sorta di patrimoniale. In questo caso c’è un rendimento dell’investimento che sarebbe salvaguardato. Ma è un’idea che – se diventasse una scelta – spaventerebbe i risparmiatori italiani. An- che se è sul campo delle idee che si può cercare una soluzione per invertire finalmente la tendenza all’accumulo del debito pubblico. Che si affronta con la ragionevolezza, non con i diktat di Bruxelles.

E se Bruxelles continuasse a bocciare la manovra, potrebbe sanzionare l’Italia di qualche miliardo di euro (improbabile che arriverà a farlo, e comunque i tempi slittano a dopo le elezioni europee), ma che questi soldi Roma potrebbe rifiutarsi di pagare. E lo scontro sta avvenendo proprio quando l’Unione europea ha più bisogno dell’Italia, del suo ruolo centrale che la storia e le circostanze gli stanno affidando e che il governo Conte può ancora recuperare.

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