di Azelio Fulmini (*)
La Corte di Giustizia dell’UE ha adottato lo scorso 10 dicembre una decisione importante, che si aggiunge ai tanti cambi di scena ai quali la BRExIT ci ha ormai abituato sin dal giugno 2016, quando i cittadini del Regno Unito decisero con un referendum passato a stretta maggioranza (anche il referendum sull’adesione nel 1975 passò con una ristretta maggioranza ed un tasso di partecipazione più basso) di preferire l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
La sentenza della Corte di Giustizia del 10 dicembre (C-621/18) risponde ad una questione pregiudiziale che la High Court scozzese ha introdotto il 3 ottobre 2018, a seguito del ricorso a sua volta introdotto il 19 dicembre 2017 da A. Wightman ed altri 6 eletti, che chiedeva di confermare se la procedura aperta dalla “notifica della volontà di lasciare l’Unione Europea” fatta ai termini dell’articolo 50 TUE dal governo del Regno Unito con la lettera del Primo Ministro, e recapitata dal Rappresentante permanente al Presidente del Consiglio europeo il 29 marzo 2017, é una procedura irreversibile. I richiedenti volevano sapere se, in altre parole, al momento del dibattito e del voto alla camera dei comuni sull’accordo di recesso e sulla dichiarazione politica sull’accordo futuro, rinviato dall’11 dicembre al 16 gennaio, esiste, oltre le due possibilità classiche, l’approvazione dell’accordo di uscita per la ratifica – con qualche modifica ? o il rigetto dello stesso con un’uscita dall’UE senza alcun accordo, la possibilità di una “revoca unilaterale della notifica della intenzione di rendere dall’UE”. In altre parole, in caso di rigetto dell’accordo di recesso, o di difficoltà ad approvarlo come tale, può l’assemblea pensare ad una terza ipotesi : decidere che il Regno Unito vuole rimanere nell’Unione ? Va detto che rimangono altre ipotesi (anch’esse teoriche) : la prolungazione decisa all’unanimità del periodo di negoziato, i due anni dalla data della notifica prevista dall’articolo 50 TUE, impedendo cosi’ la fuoriuscita del Regno Unito il 29 marzo 2019, anche in assenza di un accordo sul recesso ; la revoca consensuale, tutte le parti si accordano sull’annullamento della procedura aperta con la notifica del 29 marzo 2017. Questa sentenza é arrivata giusto un giorno prima del dibattito e del voto, ed ha fatto il giro dell’Europa dei tecnici in un battibaleno. Si pretendeva inizialmente che la camera dei Comuni potesse accettare o rigettare d’accordo, ma anche, come deciso allora dal Presidente (lo Speaker), degli emendamenti. Oggi l’aula potrà solo adottare o rigettare il progetto di accordo di recesso. In questo secondo caso, il governo é chiamato a presentare un piano B, per evitare un’uscita senza accordo, entro 3 giorni (l’EU Withdrawal Act prevedeva 21 giorni).
L’articolo 50 TUE introduce alcune regole di procedura, alfine di sottomettere la procedura di recesso dall’UE (e CECA, e EURATOM) a regole dell’UE, aggiuntive e speciali rispetto alle regole del diritto internazionale applicabili in materia di adesione e recesso da trattati e convenzioni, previste nella Convenzione di Vienna. L’obiettivo sostanziale era quello di permettere un “recesso ordinato” , come già deciso nei lavori della prima Convenzione del 2000, che riprendeva una norma già introdotta nel famoso progetto Spinelli del 1985, e con la convinzione che la regola sarebbe rimasta lettera morta. L’articolo 50 prevede infatti, in sostanza, a) che lo stato membro può decidere autonomamente (qualcuno vorrebbe interpretare la frase “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di ecedere dall’Unione” come un’attribuzione di un potere di controllo della Corte UE sul rispetto delle regole costituzionali nazionali), b) che le parti devono accordarsi entro due anni dalla “notifica dell’intenzione di lasciare l’UE”, c) che lo Stato membro non farà più parte dell’Unione Europea entro i due anni dalla notifica, con o senza un accordo di recesso, d) e che, a titolo eccezionale, una decisione unanime puo’ prorogare il periodo di due anni previsto per “negoziare” l’accordo di recesso. e) La formulazione dell’articolo 50 permette, infine, implicitamente, che, nel caso di approvazione di un accordo di recesso prima dei due anni, l’uscita dall’UE può essere subordinata a eventuali regole transitorie, eventualmente relative alla entrata in vigore di quest’ultimo, o all’approvazione o entrata in vigore dell’accordo sulle future relazioni (il progetto d’accordo di recesso prevede un periodo transitorio sino al 31 dicembre 2020). In altre parole, il periodo di due anni previsto per il negoziato può essere prorogato : i) con decisione all’unanimità degli stati – decisa eventualmente all’ultimo minuto, in caso di recesso senza accordo , ma anche ii) con norma transitoria inserita nell’accordo di recesso. L’articolo 50T UE non si oppone a tali ipotesi.
La questione della possibile revoca unilaterale della procedura di recesso, aperta dalla notifica del 29marzo 2017 fu sollevata già dall’illustre ex giureconsulto del Consiglio dei Ministri in un articolo pubblicato all’epoca, e noi avevamo espresso la stessa opinione già nell’ottobre 2016. L’articolo 50 TUE introduce delle regole sulla procedura. Non dice nulla sul fondo della procedura, nè sul fondo del negoziato. La possibilità di una revoca della notifica, cioè del ritiro della “ manifestazione dell’intenzione di lasciare l’UE ” non é esclusa. Noi abbiamo sempre sostenuto che questa ipotesi, nel silenzio della norma scritta, era possibile e che il processo attivato poteva essere revocato unilateralmente o consensualmente, traendo spunto dalla norma internazionale laddove la norma UE era silenziosa. Ma cosa ha deciso la Corte di giustizia ? La revoca unilaterale é dunque possibile. Ogni Stato membro può, dopo aver notificato al Consiglio Europeo l’intenzione di lasciare l’UE, ed aver quindi attivato la procedura prevista all’articolo 50 TUE, liberamente e fino al momento dell’uscita dall’UE, cambiare idea, e notificarlo ufficialmente al Presidente del Consiglio Europeo, chiudendo così la procedura aperta dalla sua prima lettera ufficiale. Uniche condizioni: notificare al Consiglio Europeo la revoca, utilizzando le stesse forme (secondo il principio del parallelismo delle forme) utilizzate per notificare al Presidente del Consiglio Europeo l’intenzione di uscire, in tempo utile, cioè, diciamo, depositarlo e farlo registrare dal servizio protocollo del presidente del Consiglio europeo prima delle 16.00 del 29 marzo 2019, un venerdì.
Questa sentenza fa scorrere molto inchiostro, inutile dire perché. A noi urge qui sottolinearne l’importanza sul piano dei rapporti tra il diritto nazionale ed il diritto dell’UE, soprattutto su due questioni a carattere giuridico ma di grande valenza politica, in questo momento in cui il progetto di Europa politica attraversa qualche difficoltà, momento nel quale é illusorio credere di poter disinnescare certi fenomeni antagonisti al progetto europeo semplicemente classificandoli di “sovranismo”, “populismo”. L’Europa è chiamata a “aiutare a risolvere i problemi sul tappeto” esercitando efficacemente le competenze fondamentali (Mercato Interno, Concorrenza, Libera Circolazione dei cittadini, Appalti, Trasparenza, Protezione dell’ambiente, della salute, ecc.) piuttosto che giudicare i cittadini ed i governi dissenzienti. La legittimità politica democratica non si trasferisce con atti, con il trasferimento dell’esercizio di poteri, col travaso di poteri effettuato con atti coperti dal principio di legalità. Essa si conquista sul campo, nell’economia in primo luogo, e non con la sola politica del ‘politically correct’. Dimenticare questo principio materiale essenziale in ogni sistema democratico moderno rischia di far rivivere alcune tristissime pagine della nostra storia.
Il grosso problema, nel processo di unificazione europea, per i giuspubblicisti, è sempre lo stesso: sono le istituzioni comunitarie dotate di una legittimazione e legittimità politica (nel senso del diritto pubblico e costituzionale) autonome e autosufficienti, o restano ancora, dopo il naufragio del progetto di Costituzione firmato nel 2005, delle istituzioni i cui poteri, la cui legittimità, restano ancora sottomessi, condizionati, alla regola della legalità della delega, dell’esercizio di poteri sovrani, senza trasferimento della titolarità, lo Stato restando il “dominus della titolarità” ? É la legittimità politica delle istituzioni europee, in termini di diritto pubblico, autonoma dalla delega? É l’UE un’entità politica autonoma e indipendente dagli Stati che la costituiscono ? In presenza di una Costituzione Europea la risposta potrebbe essere positiva. Ma i trattati restano ancora un classico accordo di diritto internazionale, ai quali gli stati membri possono aderire secondo le regole del diritto internazionale, alle quali si aggiungono le regole di diritto comunitario allorché esplicitate. Questo è vero per la procedura di adesione come per la procedura di recesso. E l’articolo 50 TUE non pone che delle regole di procedura, e molto leggere. Per la Corte, sottomettere il potere dello stato membro, che ha comunicato la sua intenzione di lasciare l’UE, di cambiare idea, in sostanza, di ritirare tale comunicazione, all’accordo di tutti gli stati altri Stati membri comporterebbe la violazione della sua sovranità. Ogni Stato può liberamente decidere di aderire come liberamente decidere di uscire dall’UE.
La Corte di giustizia riconosce che la prevalenza della norma comunitaria sulla norma nazionale non ha ancora natura ontica, non si basa
ancora su un carattere gerarchico, nel senso del diritto pubblico, cioè di norma di rango superiore. Essa ha ancora oggi un carattere tecnico. La norma UE prevale perché norma speciale. Molto altro si potrebbe dire ma non c’è qui abbastanza spazio.
Chiudiamo con alcune interrogazioni sulle quali riflettere. Quali sono le relazioni ancora oggi esistenti, sotto il profilo giuridico ma anche politico della attuale struttura istituzionale dell’UE, tra la legittimità politica, la legalità, e la sovranità ? È possibile liquidare il problema della legittimità politica con il solo aggettivo di “populista”, “sovranismo” ? Ma non é il modello democratico per sua natura populista e sovranista? Siamo già nelle condizioni “reali”, e “realiste”, di un modello universalista della sovranità ? Non crediamo. La necessità di rispettare i “limiti nell’esercizio dei poteri pubblici-sovrani da parte delle istanze pubbliche e delle elites”, in un sistema a democrazia indiretta complesso ma ancora frammentato, poco importa se legalmente esercitati, resta intatta lfine di non intaccare la legittimità politica del sistema. Ne vale la salvaguardia del nostro modello di democrazia indiretta, mai sostanzialmente esistente nella maggior parte del mondo , anche laddove l’Europa ha investito tantissimi soldi per l’aiuto allo sviluppo, che è in difficoltà anche da noi. Può, per esempio, l’articolo 7 TUE essere il grimaldello (quasi-federale) dell’intervenzionismo intraeuropeo, nonostante le “nuove” formulazioni (non anodine) proprie agli articoli 4, 1 e 2, e 5.1, tanto per citarne solo due ?
Cosa potrà fare adesso il Parlamento di Londra, per i ‘remainers’ ? Potrà approvare o rigettare l’accordo. Cosa potrà fare il Ministro competente, in questo secondo caso ? Avrà 3 giorni di tempo per rinegoziare l’accordo, ma un nuovo negoziato sembra impossibile. Madame May ha ricevuto la conferma dall’assemblea Tory ma sarà verosimilmente sconfitta alla Camera dei Comuni che sembra voler bocciare l’accordo di recesso. Il Labour minaccia un voto di sfiducia ad personam, facendo intravedere una strategia bipartisan per il “remain”. Potrebbe essere seguita la strada olandese : dopo un primo referendum negativo, la Commissione adottò una Dichiarazione politica favorevole sulle questioni più calde per permettere di accontentare una parte dell’opinione pubblica … ? I brexiters più morbidi potrebbero cambiare idea. Un nuovo referendum potrebbe essere organizzato. Ma non c’è più tempo.
C’é chi pensa ad elezioni anticipate, nel gennaio 2019. Un risultato elettorale positivo per i partiti del “remain” potrebbe permettere al nuovo governo di inviare, con la massima urgenza, con plico consegnato al segretariato del Consiglio Europeo prima delle 16h00 del 29 marzo 2019, la notifica della decisione di non aver più l’intenzione di uscire dall’Europa, cioè la decisione di ritirare la prima notifica, con l’effetto immediato e incondizionato di interrompere la procedura aperta il 29 marzo 2017. Il giurista lo può affermare, esso avrebbe l’effetto di interrompere automaticamente e senza condizioni la procedura ed annullarla retroattivamente. E l’UE potrebbe continuare a 28 come se niente fosse successo. Ma sono queste ipotesi “remainiste” credibili, realiste ? Difficile.
Già nell’ottobre 2016 concludevamo esprimendo dubbi sulla strategia adottata dalle istanze UE. Abbiamo sempre ritenuto che la BRExIT avrebbe potuto rappresentare un’occasione per rafforzare la “legittimità politico-istituzionale propria” dell’UE, come soggetto politico, pubblico e istituzionale autonomo, sia sul piano interno che internazionale. Usarla come “avvertimento interno” è prova di debolezza. Meglio sarebbe stato lavorare subito sul futuro accordo. Commentatori dall’esperienza politica come Havel e Dzurinda lo dicevano da tempo. Oggi qualche politico UE lo dice in apertura di campagna elettorale…
La situazione nella quale un Consiglio d’Amministrazione forte contrasta gli azionisti appare un modello non utilizzabile nelle strategie che si vogliono “democratiche”. L’assetto istituzionale dell’UE, la sua “gouvernance”, hanno ormai acquisito un ruolo fondamentale nell’agora politica in Europa. La prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo comporta nuovi obblighi a carattere politico, che oltrepassano la co-organizzazione di campagne elettorali. L’originale dimensione “tecnica” non basta più. Ma la dimensione politica di un qualsiasi assetto istituzionale che si vuole democratico si costruisce concretamente e sul terreno. L’Europa politica é molto giovane nell’immaginifico collettivo. Il risultato alle prossime elezioni europee potrebbe essere molto positivo, nella prospettiva di un futuro governo democratico dell’UE, ma potrebbe anche risultare molto divisivo a brevissimo termine, e rappresentare un duro stop all’attuale gestione della governance UE, con possibili effetti negativi sul processo d’integrazione europea a lungo termine. I rischi sono molti. Potrà la Brexit o un’eventuale revoca unilaterale del Regno Unito dare, in ogni caso, una scossa positiva alla legittimità politica dell’UE ? Questa é la vera sfida, per noi.
(*) Avvocato del foro di Bruxelles, già referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea