Bruxelles, il futuro passa dalla Bce

di Monica Frida

Un primo segnale a costo zero Giuseppe Conte, il primo ministro italiano, lo ha dato fuori dal contesto europeo, in occasione della nomina del nuovo Direttore generale della Fao, il Fondo per l’agricoltura e l’alimentazione delle Nazioni Unite, che ha sede a Roma. Conte ha votato la francese Catherine Geslain-Lanéelle, in linea con l’Unione europea, e Palazzo Chigi lo ha dichiarato ufficialmente, sottolineando – con eleganza diplomatica – di aver avvertito di questa scelta anche la Cina, che ha presentato il candidato poi risultato prescelto, Qu Dongyou, sottosegretario all’Agricoltura a Pechino. Un segnale che è servito a fugare i veleni di un’amici-zia troppo dipendente con la Cina, e che ha permesso un gesto d’amicizia verso la Francia, dopo il gelo di qual-che mese fa. Conte ne aveva parlato direttamente con il presidente francese Emmanuel Macron, che poi si è sdebitato con una difesa vigorosa dell’Italia dalle critiche per il braccio di ferro con Bruxelles sul differenziale deficit-Pil. Naturalmente, la partita tra i due Paesi è più complicata di qualche dichiarazione com-piacente e di un voto alla Fao. Conte, a capo di un governo retto tra due partiti fuori dai giochi della maggioranza europea, rischia un isolamento feroce nella partita delle nomine in ballo per il rinnovo delle cariche che contano a Bruxelles.

La Lega in Europa si conferma nel gruppo Identità e Democrazia, con la francese Marine Le Pen, cioè con la destra più isolata e marginale, a cui non basta il ritocco del nome del partito “Rassemblement national”, rispetto al più “nero” Fronte nazionale. Lo spregiudicato Viktor Orban, leader dell’Ungheria sovranista, resta nella famiglia del Partito Popolare, scegliendo con senso pratico la maggioranza rispetto all’opposizione messa all’angolo. Chi sta peggio è il Movimento Cinque Stelle, che non trova alleati ed è respinto da tutti, anche da quella sinistra ambientalista, come i Verdi, che sarebbero il suo naturale alleato, almeno a giudicare dalle battaglie comuni sostenute nel Parlamento europeo. Ma i Verdi europei non perdonano ai Cinque Stelle l’alleanza in Italia con la Lega di Matteo Salvini. In questo quadro che di fatto isola l’Italia, a Bruxelles si parla addirittura di una sorta di “cordone sanitario” dei gruppi principali per isolare Salvini (soprattutto Salvini, temuto e avversato, che i Cinque Stelle) per non concedergli nulla in termini di incarichi. A “governare” l’Europa saranno quattro gruppi: i Popolari, i Socialdemocratici, i Liberali, i Verdi. Una maggioranza forte, quando sarebbe bastata un’alleanza a tre gruppi. Ma così i sovranisti, che sono già divisi tra loro, sono marginalizzati. Eppure, se si decide secondo prassi almeno due Commissioni dovrebbero essere affidate a Identità e Democrazia, secondo il metodo di ripartizione abituale, il metodo D’Hondt.

Questo schema assegnerebbe al gruppo Identità e Democrazia due presidenze di Commissione, nello specifico Agricoltura e quella Giuridica. Alla poltrona dell’Agricoltura, l’Italia (ma anche la Francia, e quindi anche Marine Le Pen) ambisce dichiaratamente. Ma la maggioranza vorrebbe dare scacco matto all’opposizione sovranista e a Salvini, visto in Europa come “il diavolo”. Conte paga dazio, ed è stato addirittura escluso dalla “ristretta” che discute delle principali cariche. Il premier italiano si è affidato ad Angela Merkel per rappresentare le sue ragioni e intenzioni. Potente “portavoce” ma non il miglior alleato, perché la Cancelliera tedesca vorrebbe un suo connazionale alla guida dalla Banca centrale europea, il temibile Jens Weldmann, una nomea di “falco”: e di questi tempi si sprecano gli elogi collettivi per Mario Draghi, che pure solo poco tempo fa il capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, aveva aspramente criticato. L’Italia, dalla economia traballante, ha tratto benefici dalla politica di Mario Draghi generosa nel comprare titoli di Stato (e di cui non ha beneficiato solo Roma, va detto, ma tutta l’Eurozona, l’area che ha scelto la moneta unica), e quindi teme ragionevolmente l’avvento di Weldmann. Che però non è avversato solo dall’Italia.

Per Angela Merkel si parla con insistenza ora di un incarico come Presidente del Consiglio europeo, il posto occupato ora dal polacco Donald Tusk. Ma Angela Merkel ha ribadito di aver fatto già le sue scelte (e cioè: tra due anni in “pensione” dalla politica di primo piano) ed è troppo abile per credere che l’offerta di questo incarico, senza potere di fatto, non sia un modo per mettere fuori gioco la Germania da altre pretese più di peso (e quindi: Presidente della Commissione europea, dove il candidato tedesco resta il Popolare Manfred Weber, già però bocciato da Macron e quindi quasi bruciato). Manfred Weber potrebbe rientrare in gioco come Presidente del Parlamento europeo al posto di Antonio Tajani, che però ha ancora qualche tiepida chance di essere riconfermato: il suo lavoro di mezzo mandato è stato apprezzato, è nel gruppo dei Popolari, e anche se il suo partito, Forza Italia, è stato ridimensionato dal voto europeo del maggio scorso, proprio perché di centrodestra moderato può convogliare consensi in chiave anti-Lega. Ma l’Italia al giro precedente ha avuto molte cariche (oltre a Tajani e Draghi, anche Federica Mogherini come Alto rappresentante per la Politica estera) probabilmente dovrà rinunciare ai posti di prima fila.

Un nome forte come successore di Tajani è quello del socialdemocratico Frans Timmermans, olandese. In quota rosa Margrether Vestager, liberale, danese, sostenuta da Macron, è indicata per guidare la Commissione europea. Il posto più ambito, quello occupato ora dal lussemburghese Jean Claude Juncker. Proprio perché posto di potere, per i veti incrociati potrebbe andare a un socio minore del Club dei 28. Se Conte non conta, potremmo consolarci che non conta neanche Theresa May, primo ministro della Gran Bretagna, dimissionaria. E infatti vedere ritratto in fotografia, insieme e da soli, il titolare di Palazzo Chigi con la conservatrice che non è riuscita a far approvare da Londra l’accordo sulla Brexit, in occasione dell’Eurosummit del 21 giugno scorso a Bruxelles, suggerisce qualche malinconica considerazione. Starà all’abilità di Conte però saper far pesare il suo appoggio a scelte che non farà lui: anche questo, se gestito con astuzia, apre dei crediti che potrebbero aiutare il difficile cammino europeo dell’Italia.

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